domenica 6 giugno 2010

"Schiave" bambine ai semafori, a giudizio la mamma-padrona


mendicante_al_mercato_1COSENZA - La vita di Yasmine e Violeta è ancora un niente eppure ha già il sapore acre della sofferenza e del dolore. Yasmine ha undici anni, Violeta neanche quattro, ma entrambe sanno già bene com'è fatto l'inferno. Nel girone dei dannati le ha trascinate la donna che le ha messe al mondo, costringendole a diventare due macchine da soldi. La Volante le ha trovate a mendicare al semaforo di via Simonetta, nel centro di Cosenza, per due volte a distanza di quattordici giorni. E per due volte è stata denunciata la mamma (omettiamo il nome per preservare l'anonimato delle bimbe vittime del reato). Due corposi dossier sono finiti sul tavolo del pm Giuseppe Cozzolino, che ha chiuso le indagini incriminando la madre (che è difesa dall'avvocato Michelangelo Russo). La donna vive con le sue bambine nella baraccopoli di Vaglio Lise, dove abita gente arrivata seguendo la solita rotta, il fianco scoperto dell'Italia, l'ultimo passaggio per l'altro mondo, quello dell'accattonaggio. È il nuovo business che viene alimentato dagli "schiavi" di strada che, spesso, hanno il volto di bambini dal malcurato aspetto o di ragazze appena adolescenti costrette a diventare in fretta donne e madri. Sono loro i "fantasmi" senza nome che presidiano di primo mattino gl'incroci semaforici. Sono i deboli soldatini d'un esercito di disperati arrivati dall'Est europeo. Gente che vive ammassata come bestie in alloggi di fortuna. Sono schiavi costretti a mendicare davanti alle auto in colonna che aspettano il "verde". Impersonano la disperazione e attirano l'attenzione di passanti e automobilisti per produrre ricchezza per i loro "tutori". Ed è così che diventano preziosi, addirittura indispensabili. A loro, i "padroni" offrono lo "spazio" in concessione. Un posto di lavoro che donne e ragazzi pagano a caro prezzo. «Dare qualcosa per mangiare...»: è quel lamento ininterrotto che accompagna le loro interminabili giornate, col sole o con la pioggia, col vento e con il gelo. Neppure una vettura viene saltata. A tutti viene domandato l'"obolo". Alla fine della giornata, i più bravi riescono a mettere insieme anche 60-70 euro. E buona parte di questa somma finisce nelle tasche dei loro aguzzini. Qualche anno fa l'inchiesta dell'Ufficio minori della Questura ribattezzata "Spezzacatene" svelò l'inquietante mondo dei bambini schiavi ai semafori. Il castello accusatorio costruito in dibattimento dal pm Claudio Curreli resistette in tutti e tre i gradi di giudizio e i "padroni" sono stati condannati in via definitiva. Quell'indagine partì dalle confessioni di due ragazzini ritrovati sull'A3, soli e disperati, una sera d'inverno nella zona di Frascineto. E sempre di quegli anni un'altra iniziativa dell'autorità giudiziaria: l'inchiesta sui "bimbi argati" della Procura di Firenze. Un'indagine che portò gl'investigatori della guardia di finanza ad indagare lungo l'asse calabro-toscano. L'attività d'intelligence si concluse con l'incriminazione di dieci persone finite a giudizio davanti alla Corte d'Assise fiorentina. Tanti altri bambini, però, continuano a subire in silenzio. Prigionieri d'un malevolo destino: non avranno mai un'adeguata istruzione, una autentica famiglia, una casa fatta di muri e di cemento. Ma saranno eternamente "schiavi" controllati dai loro "padroni" d'origine romena o albanese. Sono loro, infatti, a contendersi il racket dell'accattonaggio a Cosenza e nel Cosentino. I romeni, tuttavia, sembrano aver preso il sopravvento sugli albanesi di origine kosovara che per lunghi periodi hanno abitato in questa terra, assumendo il sostanziale controllo di incroci semaforici e marciapiedi. Proprio come Yasmine e Violeta costrette a mendicare dalla madre. Per loro al mattino non c'è la scuola dove poter imparare a leggere e scrivere. Per Yasmine e Violeta la vita ha tre colori: il rosso, il verde ed il giallo. I colori del semaforo che raggiungono presto nella speranza di poter guadagnare abbastanza per far felice la loro mamma. I poliziotti le avevano notate il 12 marzo. In una gelida mattina, le bimbe s'avvicinavano agl'infreddoliti automobilisti in coda davanti al rosso per strappare una moneta. Gli agenti le portarono in Questura, convocarono la madre e la denunciarono. Speravano d'aver chiuso lì la vicenda e, invece, il 26 marzo i poliziotti ripassarono di lì proprio mentre le bambine si davano da fare per mettere insieme un pò di quattrini per la "famiglia". La procedura applicata fu identica: la genitrice venne convocata per riprendersi le figlie e ritirare una nuova denuncia. Due esposti che coinfluiranno in un solo processo come vorrebbe l'avvocato Russo che ha già depositato la sua istanza di riunione dei fascicoli ritenendo sussistente il vincolo di continuazione per la sua assistita. Non un fatto casuale, dunque, ma un'insana abitudine.

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