mercoledì 26 marzo 2014

Arrestato maestro scuola elementare a San Giuliano Milanese

Pedofilia, San Giuliano Milanese: Arrestato Maestro Scuola
Pedofilia, San Giuliano Milanese: Arrestato Maestro Scuola

Queste le accuse che hanno portato la procura di Lodi a dare il via all'arresto di un maestro della scuola elementare “Gianni Rodari” di San Giuliano Milanese. L'uomo, 63 anni, sposato e con figli, al momento è solo indiziato di delitto ma ci sarebbero anche le immagini catturate da alcune microspie ad incastrarlo. L'arresto è stato eseguito dai carabinieri.
Secondo quanto raccontato da una delle bambine alla mamma, sembra che il maestro, insegnate di materie tecniche, abitualmente tocasse morbosamente nelle parti intime le allieve che si avvicinavano alla cattedra per essere interrogate. La madre, sconvolta dopo il racconto della figlia, ha denunciato tutto ai carabinieri che stanno ancora indagando sotto la direzione della procura della Repubblica presso il Tribunale di Lodi​. Sembra che episodi simili fossero capitati già ad altre bambine della classe, la seconda elementare.
Il maestro, del quale non sono state ancora diffuse le generalità, si trova nel carcere milanese di San Vittore. ​
Il procuratore della Repubblica di Lodi Vincenzo Russo sottolinea che "le indagini, proprio per la gravità del delitto contestato, sono state velocissime. Da quando la madre di una delle bambine in questione ha denunciato i fatti ai carabinieri, l'uomo è stato attenzionato e poi arrestato nel giro di pochi giorni".


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Il Papa nomina la Commisione anti-pedofilia Tra gli otto membri anche una vittima di abusi

papa-francesco-nomina-i-primi-otto-membri-della-commissione-contro-la-pedofilia-tra-loro-anche-marie-collins-una-donna-irlandese-vittima-di-abusi-quando-aveva-13-anni

Papa Francesco contro la pedofilia. Il Pontefice ha nominato i primi otto componenti della Commissione per la tutela dei minori, quattro uomini e quattro donne.
Tra loro anche l’irlandese Marie Collins che negli anni ’70 è stata vittima di abusi. La donna ha fondato un’associazione per la protezione dei minori e portò la sua testimonianza al Simposio anti-abusi voluto da Papa Ratzinger: “Ho iniziato a guarire il giorno in cui il mio violentatore ha riconosciuto davanti al giudice la propria responsabilità e ha ammesso le sue colpe” aveva detto Marie Collins nel 2012. Quando aveva 13 anni un sacerdote abusò di lei mentre era ricoverata in ospedale. Solo a 47 anni la donna è riuscita a parlare delle violenze subito e solo a 57 a denunciare l’uomo che aveva abusato di lei. I disagi mentali successivi alla violenza subita, ha raccontato Collins, l’hanno perseguitata per tutta la vita e solo con la confessione e l’arresto del suo aggressore ha iniziato a superare i disturbi psicologici. “È importante – ha affermato alla Gregoriana – che i colpevoli chiedano perdono”.
Insieme a lei il cardinale Sean O’Malley, l’arcivescovo di Boston, in prima linea nella lotta alla pedofilia, che per pagare i risarcimenti alle vittime degli abusi, mise in vendita l’episcopio ritirandosi a vivere in una cella monastica.
Gli altri componenti della Commissione sonoCatherine Bonnet, studiosa francese di psicologia e psichiatria, Sheila Hollins, docente inglese di psichiatria, il giurista italiano Claudio Papale, l’ex primo ministro ed ex ambasciatrice polacca Hanna Suchocka, il gesuita argentino Humberto Miguel Yanez, e il gesuita tedesco Hans Zollner, studioso del fenomeno e decano della facoltà di psicologia dell’Università Gregoriana.
Il Vaticano precisa che dovranno “preparare gli statuti della Commissione, i quali ne definiranno le competenze e le funzioni. La medesima Commissione verrà successivamente integrata da altri membri, scelti nelle varie aree geografiche del mondo”.

Sconsacrato per pedofilia. Cambia nome e dice messa

Un ex prete, con alle spalle un'accusa di pedofilia, continuava, sotto falso nome, a celebrare messa. E' successo in provincia di Latina. L'ex religioso e' David Antony Samy, 50 anni, di nazionalita' indiana, ora scomparso nel nulla. Nel 2011 fu condannato per pedofilia sia dal tribunale ecclesiastico, sia dal tribunale di Fermo, dove patteggio' la pena. Benedetto XVI lo sollevo' dai suoi incarichi, in pratica fu "spretato". David Antony Samy dal 2011 era pero' ospite del parroco della Cattedrale di Santa Maria a Sezze, ignaro del suo passato.
Presentatosi con il falso nome di don John, celebrava normalmente messa. E' stato lo stesso parroco a insospettirsi, dopo che l'ex religioso non forniva informazioni sui suoi studi vaticani. Monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina, informato della vicenda, ha avviato subito una indagine, scoprendo l'inganno. David Antony Samy ha fatto perdere le proprie tracce. Sul caso indagano i carabinieri di Sezze e di Latina.

venerdì 14 marzo 2014

Treviso choc, bambini maltrattati in una casa famiglia: erano costretti a mangiare sapone

E’ choc a Treviso per quanto emerso su una casa famiglia. Una coppia maltrattava e puniva i bambini costringendoli a mangiare del sapone inginocchiati sui sassi

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Una storia choc arriva da Treviso, dove in una casa famiglia i bambini venivano maltrattati, e addirittura erano costretti a mangiare il sapone per punizione. Sotto accusa è una coppia di trevigiani, che risultavano genitori affidatari dei piccoli tolti alle loro famiglie per varie problematiche connesse.
I coniugi, che gestivano una casa famiglia, invece di prendersi cura di questi bambini che arrivavano da situazioni difficili, li maltrattavano sia psicologicamente che fisicamente. Negli anni molti bambini sono stati affidati alla struttura dalla magistratura, ed ora si indaga per fare chiarezza sulla vicenda. Le punizioni all’interno della casa famiglia sarebbero state fin troppo dure, e i fatti emergono proprio dalle testimonianze dei piccoli, quattro di essi per la precisione. I bambini in questione, che avrebbero alloggiato presso la casa famiglia di Treviso tra il 2009 e il 2011, hanno raccontato episodi choc. Le punizioni sfociavano in maltrattamenti: i bambini erano costretti a mangiare scaglie di sapone. Ma non finisce qui, perché dovevano farlo inginocchiati su dei sassi o altri oggetti spigolosi, che procuravano loro dolore.
In questa casa famiglia, a detta dei testimoni, avvenivano dunque maltrattamenti ai danni dei bambini da parte di questa coppia. I coniugi ora dovranno comparire di fronte ai giudici presso il Tribunale di Treviso nei prossimi mesi, precisamente in autunno. La storia in questione non può che lasciare l’amaro in bocca, per il trattamento assurdo riservato a questi bambini all’interno di una casa famiglia lager. Non solo i piccoli dovevano soggiornare lì per problemi concernenti le famiglie di origine, ma dovevano anche subire maltrattamenti terribili, come mangiare scaglie di sapone. Non ci resta che attendere ulteriori aggiornamenti su questa terribile storia che arriva dalla provincia di Treviso.

Padova, violentava la figlia 14enne e dopo le dava la 'paghetta'


Padova sotto choc per la brutta storia di violenze in famiglia. Un 43enne, di origini camerunensi, è accusato di violenza sessuale e prostituzione minorile, per aver abusato della figlia dai nove ai 14 anni, arrivando a darle una sorta di ‘paghetta’ per i rapporti consumati.
L'uomo, residente a Padova, è stato sottoposto dal gip alla misura cautelare dell’allontanamento e del divieto di avvicinarsi alla figlia e ai luoghi che lei frequenta.
Nel gennaio scorso, come riportano i giornali locali, la giovane insieme alla madre si era allontanata dal genitore facendosi ospitare in una comunità di prima accoglienza, sotto la tutela dei servizi sociali del Comune. Ora che l'uomo è stato allontanato da casa, a seguito delle indagini condotte dalla squadra mobile, madre e figlia hanno potuto far ritorno nell’abitazione.

martedì 11 marzo 2014

Pedopornografia: video e abusi sui bambini scambiati su Darknet, 10 arresti L'operazione 'Sleeping Dogs' messa a segno in tutta Italia dagli uomini della Polizia Postale con il supporto del FBI. Accertate violenze su tre vittime di 5, 8 e 10 anni

Pedopornografia: arresti operazione Sleeping Dogs
Pedopornografia: arresti operazione Sleeping Dogs
Pedopornografia: arresti operazione Sleeping Dogs
Pedopornografia: arresti operazione Sleeping Dogs
Pedopornografia: arresti operazione Sleeping Dogs

"Trasformare l'anonimato in una traccia processabile". Questo l'obiettivo ed il risultato messo a segno nell'ambito della 'Operazione Sleeping Dogs' che ha portato ad arrestare 10 persone in tutta Italia, Lazio compreso, giudicati responsanbili di divulgazione e produzione di materiale pedopornografico. Gli arresti dopo un'indagine che ha preso il via nel 2010 quando dalle attività investigative sotto copertura è emerso un giro di pedofili italiani che utilizzavano il darknet con l'intento di garantirsi la non rintracciabilità sul web e la conseguente incriminazione.
10 ARRESTI - Gli abusatori di minori emigrati progressivamente sulle piattaforme parallele del web non sono sfuggiti agli inquirenti che hanno individuato 15 soggetti, arrestandone dieci, di età compresa tra i 24 ed i 63 anni, tra di loro impiegati di banca, libero professionsiti e operai specializzati. Tra di loro, in parte celibi, quattro uomini coniugati con due separati con figli. Due tra gli arrestati erano stati accusati in passato di abuso e maltrattamento in famiglia e detenzione di materiale pedopornografico. Per gli accusati sono state comminate già tre condanne definitive a 5 anni e 7 mesi, 5 anni e 9 mesi e 7 anni. Due dei condannati si stanno già sottoponendo a psicoterapia.
SLEEPING DOGS - I risultati dell'Operazione Sleeping Dogs sono stati illustrati la mattina di oggi 14 febbraio presso l’Ufficio Relazioni Esterne e Cerimoniale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza in piazza del Viminale 7 a Roma. A spiegare nel dettaglio le indagini il direttore della Polizia Postala Antonio Apruzzese, il comandante della Postale Carlo Solimene, la dottoressa Elvira D'Amato, sempre della Polizia Postale, il responsabile del FBI a Roma Jason Fickett ed il Procuratore Aggiunto della Procura della Repubblica Maria Monteleone. Titolare dell'inchiesta il Sostituto Procuratore Eugenio Albamonte.
DEEP WEB - Le indagini sono state attivate attraverso la cooperazione internazionale tra la polizia postale italiana, l'Fbi americana e l'Europol. I 10 arrestati, residenti nelle regioni del nord e del centro Italia navigavano su reti sommerse del deep web, con la certezza di rimanere anonimi ed invisibili. Uno stratagemma che non è servito e che ha portato gli inquirenti a dare il via all'operazione Sleeping Dogs che non si fermerà a questi primi 10 arresti.
RETE TOR - L'operazione Sleeping Dogs ha dimostrato come il mito dell'anonimato in rete sia il miraggio a cui nemmeno la Rete Tor, nata col presupposto di irrintracciabilità, riescono a dare concretezza, soprattutto quando in ballo ci sono vittime innocenti. "E' la prima volta che in Italia è stato acceso un faro sulle reti alternative che ti rendono anonimo -   le parole di Carlo Solimene, responsabile della divisione investigativa della PS Postale -. Grazie alla collaborazione con l'Fbi, abbiamo aperto uno squarcio su una community di pedofili che dal Web in chiaro si era spostata al Web in scuro. Credevano di essere anonimi nella rete, ma così non é stato. Negli ultimi due anni abbiamo affinato le tecniche che ci hanno permesso di identificare questi personaggi che navigano in maniera anonima".
LE VITTIME - Duecento mila i file sequestrati dagli inquirenti con immagini di torture e abusi su bambini, requisiti anche dieci terabyte di materiale. Le vittime degli abusi accertati sono tre bambini, tutti italiani, di 5, 8 e 10 anni. Le immagini dei loro abusi sono state condivise su Tor con le vittime localizzate e poste in salvo. Attualmente sono al sicuro presso le loro famiglie, uno degli arrestati era un parente di una delle vittime. I bambini sono stati identificati a partire dall'analisi tecnica dei dettagli delle immagini di abuso, attraverso l'incrocio ed i dati con le tracce informatiche presenti nei computer e negli smartphone degli indagati.
IL NOME DELL'OPERAZIONE - Il nome dell'Operazione Sleeping Dogs nasce da un primo soggetto che venne agganciato dagli investigatori in una chat. Il pedofilo aveva una passione per il videogames 'The Sleeping Dogs', passione condivida da uno degli agenti sotto copertura che ha potuto, con la scusa di farsi passare i 'trucchi' per procedere nei vari livelli, aprirsi una strada elettiva di comunicazione col soggetto. Il gioco racconta la storia di un detective che si infiltra nella mafia cinese allo scopo di distruggerla dall'interno e rappresenta in qualche modo una allegoria dell'attività investigativa e l'incipit dell'indagine stessa.   


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Pedopornografia, in manette 10 persone


"Per la prima volta accendiamo un faro sul 'deep web' e sulle più importanti community di pedofili, che si sentono assolutamente al sicuro per scambiare materiale pedopornografico". Così Carlo Solimene della Polizia Postale di Roma sull'operazione Sleeping dogs a cui ha collaborato l’Fbi. Identificati 15 uomini in gran parte celibi, 10 arrestati. Salvati tre bambini, vittime di abusi sessuali e ritratti nelle immagini sottratte agli indagati

Poliziotto della Postale in azione sulla Rete
ROMA -
Protetti dall'anonimato del ‘dark web’, l'Internet sommerso rispetto ai normali motori di ricerca, producevano e scambiavano milioni di immagini pedopornografiche. Sono 15 soggetti, tutti maschi con età compresa tra i 24 e i 63 anni del Nord e del Centro Italia, identificati dall'operazione Sleeping Dogs, condotta dalla Procura della Repubblica di Roma e dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, in collaborazione con Fbi ed Europol.
Per 10 di loro, come spiegato in una conferenza stampa al Viminale, è scattato anche l'arresto per divulgazione di materiale pedopornografico, mentre in tre casi sono stati compiuti abusi sessuali su altrettanti minori (età media 7 anni). Carlo Solimene, primo dirigente della Polizia Postale di Roma spiega: "Per la prima volta si riesce ad accendere un faro sul 'deep web' e sulle più importanti community di pedofili, che nel 'dark net' si sentono assolutamente al sicuro per scambiare materiale pedopornografico".
E per affrontare gli abissi di questa nuova frontiera della pedopornografia, si è resa necessaria la sinergia tra magistratura e Polizia italiane e le agenzie internazionali, unendo al lavoro degli operatori sottocopertura del Centro nazionale per il contrasto alla Pedopornografia Online (Cncpo) l'impiego delle tecnologie più avanzate.
Il direttore della Polizia Postale Antonio Apruzzese ha sottolineato in merito "la collaborazione perenne con il Federal bureau of investigation, attraverso snodi di raccordo con le agenzie internazionali". Bisogna fare fronte comune, ha aggiunto, viste le "nuove tecnologie molto sofisticate che rendono molto più difficile far emergere le prove di questo reato così grave". Un materiale che, ha spiegato, "va gestito giuridicamente, grazie all'aiuto costante e continuo che l'autorità giudiziaria ci va fornendo".
Per combattere il problema, però, "ci vogliono anche nuove normative adeguate", come ha chiesto con forza il procuratore aggiunto Maria Monteleone, che ha coordinato l'indagine con il sostituto procuratore Eugenio Albamonte.

La pedopornografia dilaga sul Web

Il crimine dilaga online. Oltre ai fenomeni emergenti del «sextortion» e del «sexting», in Ticino sono aumentati i casi di presunta pedopornografia su Internet (per pedopornografia si intende qualsiasi rappresentazione che coinvolge minori di 16 anni in attività sessuali esplicite, reali o simulate). Lo rende noto Enea Filippini, responsabile del Gruppo crimini informatici della polizia cantonale, precisando: «Nel 2013 abbiamo aperto 26 inchieste, l’anno precedente si parlava di 20, mentre per il 2011 e il 2010 ci si era attestati a quota 5, rispettivamente 10». Nella maggioranza dei casi si trattava di persone che cercavano espressamente il materiale vietato, lo scaricavano e magari lo archiviavano sul proprio computer. «Ma – specifica il commissario – sono stati pizzicati anche utenti che, magari utilizzando i cosiddetti sistemi di condivisione peer-to-peer (ovvero scambio di dati tra privati), scaricavano ingenuamente e, aggiungerei, scelleratamente file leciti di pornografia senza curarsi di fare alcun controllo...». Così si sono ritrovati sul PC anche prodotti illegali. Ricordiamo che, se il codice penale svizzero non condanna la visione di materiali pornografici, esso vieta il download, la raccolta, la messa a disposizione di materiali a contenuto pedopornografico, prodotti pornografici con azioni violente, fotografie e filmati di incontri sessuali tra persone e animali, atti pornografici correlati ad escrementi. Cosa rischiano i trasgressori? Una multa salata e/o una pena detentiva fino a 3 anni a dipendenza della gravità del reato, informa Filippini. Senza contare la figuraccia, per esempio di fronte ai familiari o ai vicini, dopo l’intervento all’alba delle forze dell’ordine alla ricerca di materiale che definire scottante è poco. Già, perché esiste un organo che vigila sui comportamenti degli internauti elvetici e, in caso di presunto reato, avverte la polizia del Cantone competente che interviene. Stiamo parlando del Servizio di coordinazione per la lotta contro la criminalità su Internet (SCOCI) dell’Ufficio federale di polizia (fedpol) che si occupa del monitoraggio delle reti peer-to-peer. Grazie ad un software specifico, riesce a detectare i file illegali e ad individuare l’indirizzo IP da dove vengono scaricati. «Se l’IP è in Svizzera, lo SCOCI fa partire una segnalazione alle forze cantonali di polizia», precisa il nostro interlocutore. «Poco importa se il materiale illecito sia stato oggetto di una ricerca mirata o meno da parte dell’utente». Vista la gravità del reato, parliamo infatti di contenuti orribili che hanno come protagonisti fanciulli, è necessario procedere con gli accertamenti. Il magistrato competente firma di conseguenza il mandato di perquisizione». L’appello che giunge dall’esperto della polizia cantonale è chiaro: «Bisogna fare attenzione alle proprie azioni online. Evitando comportamenti superficiali, ci si potrebbe risparmiare un danno non indifferente. Senza contare che noi potremmo concentrarci sui casi realmente problematici».

Caro Bergoglio, sulla pedofilia proprio non ci siamo

Caro papa Francesco, siamo molto toccati, come tutti nel mondo, dal tuo approccio pastorale e umano e dall'attenzione nei confronti di coloro che stanno ai margini della società, ma sul tema degli abusi non ci siamo proprio. Questo il succo di una lunga lettera aperta al papa che lo staff del settimanale cattolico statunitense National Catholic Reporter ha pubblicato a mo' di editoriale il 6 marzo. Di fronte alle altissime aspettative che il papa ha suscitato nel suo primo anno di pontificato, «per un senso di urgenza estrema» occorre sollevare, afferma il settimanale, la questione degli abusi sessuali.

Verità nascoste Nell'intervista a Ferruccio De Bortoli, pubblicata sulCorriere della Sera il 5 marzo scorso, il papa afferma che gli abusi sessuali lasciano «ferite profondissime» e che «le statistiche sul fenomeno della violenza sui bambini sono impressionanti, ma mostrano anche con chiarezza che la grande maggioranza degli abusi avviene in ambiente familiare e di vicinato». «La Chiesa cattolica - è ancora papa Francesco a parlare - è forse l'unica istituzione pubblica ad essersi mossa con trasparenza e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più. Eppure la Chiesa è la sola ad essere attaccata». 
«Queste affermazioni - sostiene il settimanale americano, che ha cominciato a parlare di abusi dal 1985 - contengono una certa verità, ma nascondono anche verità più difficili». L'altra faccia della medaglia è che «nessun'altra istituzione sulla Terra ha avuto i mezzi o la volontà di nascondere questi crimini tanto a lungo. La realtà è che, mentre i casi di abusi su minori sono orrendi, lo scandalo più ampio e più persistente consiste nel numero di vescovi e cardinali che hanno nascosto questo peccato, hanno pagato alle vittime somme enormi di denaro perché tacessero e hanno rifiutato di riferire persino ai loro colleghi vescovi e preti i problemi potenziali derivanti dal trasferimento dei preti problematici». Insomma, se la Chiesa ha messo in atto misure che, sì, probabilmente funzioneranno per prevenire abusi nel futuro, «per decenni le gerarchie della Chiesa hanno negato l'esistenza del problema, hanno mentito sul numero delle persone coinvolte e hanno lottato, a un costo elevatissimo, perché non emergessero le dimensioni del problema». E nessuno di costoro sta pagando. Se oggi la Chiesa sta facendo di più di qualsiasi altra istituzione per proteggere i bambini, scrive l'National Catholic Reporter, «è solo grazie all'enorme pressione pubblica esercitata dalle vittime e da altri nella Chiesa che chiedono verità».

Le oscure "periferie" della Chiesa In questo senso, le persone che stanno ai margini di cui parla il papa sono proprio le vittime degli abusi, persone ferite profondamente nella loro vita e dalla Chiesa, la comunità che avrebbe dovuto offrire loro il massimo bene spirituale. E allora, «di tutte le periferie del mondo che hanno bisogno di attenzione, nessuno ha più bisogno della sua attenzione più urgentemente di coloro le cui vite sono state sconvolte da preti pedofili», scrive la direzione del National Catholic Reporter. Alla luce di questo, «papa Francesco, la esortiamo a incontrare le vittime degli abusi», il prossimo Giovedì Santo, con una celebrazione di riconciliazione dedicata alle vittime degli abusi sessuali perpetrati da membri del clero: «Ascolti le loro storie. Lavi i loro piedi».

Un film già visto Analoghe riflessioni, con un tono molto duro, quelle del canonista statunitense p. Tom Doyle - difensore delle vittime della violanza sessuale e co-autore del primo rapporto sugli abusi nel 1986 - ospitate sullo stesso Ncr il 6 marzo scorso: papa Francesco ha stupito e incoraggiato, ma riguardo alle sfide più gravi e ai problemi più profondi della Chiesa, «non ha fatto quasi nulla». I suoi commenti nell'intervista del Corriere della Sera evidenziano «che sta usando lo stesso copione stanco e irrilevante che i vescovi hanno consumato negli ultimi anni». Lo scandalo degli abusi, scrive Doyle, è di una tale gravità che fa impallidire tutti gli altri, compresi quelli, pure sensazionali, legati alla finanza e al riciclaggio di denaro: questi sono poca cosa di fronte «alla menzogna, alla manipolazione e alla risposta senza pietà alle vittime che hanno contraddistinto la questione degli abusi fin da quando è diventata di pubblico dominio». Adesso, dall'elezione di Francesco «un anno è passato e i suoi passi sono stati minimi»: ha reso l'abuso sessuale un crimine nello Stato del Vaticano, «un passo così insignificante da renderlo quasi comico». Non ha fatto dichiarazioni solenni o informali sul tema e ha fatto ben poco contro i vescovi che hanno coperto i loro preti: se ha laicizzato il vescovo ausiliare mons. Gabino Miranda di Ayacucho, Perù, accusato di pedofilia, «che ne è dei vescovi che hanno continuato a proteggere i colpevoli e a punire vittime innocenti incoraggiando tattiche brutali nei tribunali?», si chiede p. Doyle. 

Solo fiumi di parole? Certo, c'è il recente annuncio della prossima creazione di una commissione di esperti sugli abusi, «ma finora non è stato fatto nulla»: «Il papa non ha bisogno di un'altra commissione e di più esperti che elaborino ancora più rapporti con espressioni di condanna ancora più forti. Commissioni del genere affronterebbero lo scandalo degli abusi nella prospettiva delle esigenze della Chiesa istituzionale, con lo scopo primario del recupero della sua credibilità»: «Finora è stato sempre così, e continuare a farlo in questo modo è una regressione». Ciò di cui c'è autentica necessità è invece la cura pastorale, il benessere spirituale delle vittime e, alla luce di questo, «l'unica categoria di risposta accettabile è l'azione. Basta coi segreti. Basta con le negazioni. Basta con gli autoelogi e soprattutto con la tolleranza di vescovi che hanno speso milioni di dollari e di euro donati per tutelarsi a spese delle vittime». E riprendendo la frase dell'intervista in cui il papa attribuisce alla Chiesa trasparenza e responsabilità, afferma che si tratta di un copione «che andava abbandonato anni fa»: «Purtroppo, Santo Padre, la Chiesa cattolica non si è mossa con trasparenza e responsabilità, ha fatto esattamente il contrario». E anche il «coraggio» dimostrato da papa Benedetto XVI nell'affrontare la questione, non è altro che un insieme di «misure burocratiche, ma nessuna azione decisiva è stata intrapresa per dare speranza alle vittime».

Contro l'Onu solo arroganza L'ultimo capitolo della riflessione di Doyle riguarda la denuncia da parte delle Nazioni Unite sulla colpevolezza del Vaticano nello scandalo. «Il Vaticano ha reagito con la sua solita arroganza ottusa, accusando il comitato dell'Onu di non capire come funziona la Chiesa e di interferire con sacre questioni dottrinali. Il punto è, invece, che il comitato aveva proprio capito come funziona il sistema vaticano». A far parte della commissione vaticana neocostituita, perciò, dovrebbero essere proprio le vittime e le conclusioni del rapporto del comitato Onu dovrebbe esserne l'oggetto; «non vescovi e cardinali che sono stati parte del problema e che non possono essere parte della soluzione». In conclusione, in questa fase, la cosa migliore che la gerarchia istituzionale può fare è seguire un sempre valido consiglio tattico militare: «O fai da guida, o segui, o ti togli di mezzo».