martedì 20 luglio 2010

approposito leggete questo...

Le nuove norme della Chiesa cattolica contro la pedofilia

Maria Jepsen, prima donna vescovo luterana, si è dimessa a seguito delle accuse che la vorrebbero coinvolta in un caso di insabbiamento di abusi sessuali su minori commessi all'interno della comunità luterana tedesca. Ricordare questa nota di cronaca giova doppiamente: in primo luogo perchè smentisce categoricamente quanti ripetono che il problema degli abusi sessuali sui minori sia tipico della Chiesa cattolica, che impone ancora, nel XXI secolo, un «anacronistico» celibato; in secondo luogo, perché serve da spunto per meditare su ciò che sta accadendo, proprio nei giorni in cui la Jepsen si dimette, nella parte opposta al luteranesimo, cioè all'interno della Chiesa cattolica.

Grazie all'impulso di Papa Benedetto XVI, infatti, sono state varate delle norme sostanziali e processuali di diritto canonico che rendono ancor più severa e dura la disciplina per la persecuzione dei crimini di abusi sessuali su minori commessi dai chierici. Sono le cosiddette «Normae de gravioribus delictis». Tra le diverse misure adottate ne spiccano alcune. Oltre ai soggetti previsti dal Canone 1405, le nuove disposizioni prevedono in modo esplicito (all'art. 1) la possibilità di giudicare anche i cardinali, i patriarchi e i legati della Sede Apostolica. Un'altra importante innovazione, che dimostra l'intransigenza della Chiesa cattolica contro i terribili delitti di abusi sessuali, è contenuta nel secondo paragrafo dell'art. 6 delleNormae, che punisce «l'acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i quattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento». Sempre l'art. 6, al primo paragrafo, prevede espressamente la tutela anche di coloro che abitualmente hanno un uso imperfetto della ragione, cioè di coloro che soffrono di patologie mentali o di incapacità psichiche, equiparate nella protezione canonica delle nuove norme ai minori.

La più forte disposizione delle Normae è, probabilmente, quella prevista dal paragrafo 1 dell'art. 7, che stabilisce il diritto della Congregazione per la Dottrina della Fede di derogare ai termini della prescrizione per i singoli casi più gravi di abusi. L'art. 7, inoltre, allunga, anzi raddoppia, il termine di prescrizione, da dieci a vent'anni, per tutti i gravi delitti riservati alla giurisdizione della Congreazione per la Dottrina della Fede. Si deduce quindi che per delitti di abusi compiuti su minori il termine di prescrizione è molto lungo, cominciando a decorrere, ai sensi del secondo paragrafo dell'art. 7, «dal giorno in cui il minore ha compiuto diciotto anni». Un esempio: se un bambino subisce abusi sessuali all'età di 10 anni, la prescrizione a favore del criminale comincerà a decorrere solo otto anni dopo, cioè al compimento dei 18, e occorreranno ulteriori venti anni prima che si esaurisca il termine a vantaggio del reo. Per un bambino molestato a 10 anni, sempre per seguire l'esempio, vi saranno, quindi, quasi 30 anni (28 per precisione) per denunciare il proprio molestatore e vederlo perseguito, processato e condannato. Le condanne, in proposito, sono le più severe previste dall'ordinamento canonico, cioè la dimissione o la deposizione dallo stato clericale.

A tutto ciò si aggiunga che la Chiesa cattolica, smentendo così tutti i suoi detrattori, non vuole né chiudersi a riccio, né mettere in opera una difesa di casta, tanto che le Normae, all'art. 15, prevedono espressamente la possibilità per la Congregazione per la Dottrina della Fede di «concedere le dispense dai requisiti del sacerdozio, nonché del dottorato in diritto canonico» per il personale dei tribunali ecclesiastici che dovranno giudicare gli odiosi crimini di abusi. In altre parole, la Chiesa ha dato la massima prova di serietà nella volontà incoercibile di perseguire gli autori di abusi sessuali, aprendo, perfino, i propri tribunali ai laici.

Nessun commento:

Posta un commento