giovedì 2 dicembre 2010

La setta di Brescia: i nuovi orrori della santona Fiorella Tersilla Tanghetti


Le vittime pedinate, braccate, insultate. I loro avvocati sorvegliati fin dentro il loro ufficio, poi minacciati con lettere anonime, infine con due proiettili di una pistola calibro 38 special. Intanto i carabinieri del comando provinciale di Brescia da mesi lavorano in gran segreto a un secondo filone di indagini che si chiude proprio in questi giorni e potrebbe portare a risultati clamorosi.
Manca poco al giorno del primo giudizio. Il 14 dicembre la santona Fiorella Tersilla Tanghetti e gli altri componenti della «setta della porta accanto» si presenteranno davanti al giudice dell’udienza preliminare che dovrà decidere se rinviarli a processo. Sul capo dei 18 indagati pendono capi d’accusa pesanti: associazione a delinquere, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia, abusi dei mezzi di correzione. Secondo la procura, Fiorella Tersilla Tanghetti e i suoi più stretti collaboratori, usando la leva religiosa della salvezza eterna, avrebbero messo in piedi una organizzazione malavitosa che per circa 20 anni ha soggiogato e sfruttato centinaia di adulti e bambini allo scopo di arricchirsi. Bambini sottratti in modo subdolo alle famiglie e costretti a lavorare dall’alba al tramonto. Puniti con docce fredde e bastonate, costretti a mangiare il proprio vomito e gli escrementi dei maiali.
Le accuse sulle quali il giudice di Brescia è chiamato a fare luce sono pesanti. Ma in queste ultime ore potrebbero aggiungersene altre. Circa tre mesi fa la procura di Brescia ha aperto un altro fascicolo di indagine a carico dei vertici della setta ai quali è stato recapitato un nuovo avviso di garanzia. Ipotesi di reato, circonvenzione di incapace. I carabinieri del comando provinciale di Brescia si sono messi al lavoro e sono giunti a una conclusione che proprio in queste ore sta per essere depositata in procura. Fiorella Tersilla Tanghetti e la sua setta si sarebbero macchiati del più grave reato di riduzione in schiavitù. Un reato che, se confermato dalla procura, rischierebbe di cambiare le carte in tavola. Perché l’articolo 600 del Codice penale prevede l’arresto immediato.Non solo: anche la competenza della corte d’assise, dove i giudici togati sono affiancati dalla giuria popolare.
Al centro di questa nuova inchiesta c’è una donna di 40 anni con problemi psichici: Emanuela Saretti, da molto tempo ospite della comunità insieme al marito, Albino Inverardi, morto il 30 luglio 2002. Una morte che la setta non si prende la briga di comunicare ai genitori. Anzi, il 29 ottobre 2005, tre anni dopo la morte del figlio, il papà e la mamma di Albino ricevono una cartolina dall’Egitto a firma del figlio e della nuora. C’è scritto: «Vi voglio bene, un bacione, spero stiate bene, noi ci divertiamo e lavoriamo tanto e stiamo bene. Ciao, Albino e Manuela».
Albino è morto. Emanuela viene affidata a più riprese alla setta della porta accanto finché il giudice tutelare di Salò, Cristina Spinelli, dà facoltà all’amministratore di sostegno della donna di nominare come suoi ausiliari Tanghetti, la figlia e l’avvocato della setta, Piercarlo Peroni. Un atto che arriva proprio negli stessi giorni in cui la procura di Brescia procede contro Tanghetti con le terribili accuse di cui sopra.
E siamo al 9 marzo di quest’anno. I genitori di Emanuela Saretti presentano opposizione al provvedimento del giudice tutelare. Si va in giudizio e la Corte d’appello di Brescia, prima sezione civile, si pronuncia. Riguardo alla controversia sollevata dai genitori sottolinea che il problema è l’interdizione o meno di Saretti, e non ha senso discutere di amministrazione di sostegno. Ma, cosa più importante, i giudici rimangono colpiti di fronte alla rilevanza penale dei fatti riscontrati e rimandano tutti gli atti alla procura perché svolga delle indagini. È il 23 giugno. Parte il nuovo filone d’inchiesta, che a questo punto potrebbe essere riunito al primo con l’effetto di cambiare sensibilmente il quadro d’accusa all’udienza davanti al gup del 14 dicembre.
Riduzione in schiavitù: è questo infatti il reato denunciato dai genitori di Emanuela Saretti. La stessa accusa che arriva da altri tre esposti successivi, quelli di Daniela Biscuolo e di Albino e Federica Pasotti, fratello e sorella. Dalle testimonianze incrociate e dalle nuove indagini effettuate dai carabinieri emerge un quadro macabro. Sia Emanuela sia Federica sarebbero rimaste segregate per alcuni mesi insieme con una terza donna in una stanza di quattro metri quadrati con una finestra con le sbarre. Previsto solo un pasto al giorno, quando non venivano lasciate a digiuno. Ogni due giorni, accompagnamento nella stanza accanto per la doccia sorvegliata. Niente servizi igienici: i bisogni fisiologici in un water portatile che svuotavano dalla finestra.
Oltre a questo, stando sempre alle testimonianze raccolte dai carabinieri, sia Emanuela sia Federica sarebbero rimaste legate per circa due mesi con una camicia di forza confezionata con tessuto jeans.
Tutto ciò quando avevano meno di 15 anni. Più o meno la stessa età che aveva Daniela quando, nel 2002, per alcuni mesi è stata rinchiusa nel bagno dell’abitazione di quella che gli inquirenti indicano come la mente finanziaria della setta, Daniela Cittadini. Racconta la vittima agli inquirenti: «Nel periodo di segregazione, la mia giornata aveva il seguente andamento: al mattino la Cittadini mi portava negli uffici di una delle loro società e mi costringeva a pulire velocemente tutte le stanze, dopodichè venivo subito chiusa nel bagno dove rimanevo fino alla sera. A fine giornata mi portava a casa sua dove dovevo pulire perfettamente e in fretta la sua casa. Dopo mi mandava a letto. Dormivo solo tre-quattro ore per notte. Quando la Cittadini si assentava per il weekend o per dei viaggi, io rimanevo chiusa dentro il bagno, anche per tre o quattro giorni di fila. Ero talmente esasperata che ho pensato di suicidarmi».

Fonte: Panorama

Nessun commento:

Posta un commento