mercoledì 14 aprile 2010

La Storia di Martina.

Martina oggi ha 10 anni. All’età di 3 conobbe il male, nella sua forma più assoluta. Quel nonno, così affettuoso, a cui era tanto legata, improvvisamente si trasformò. Cambiava addirittura l’aspetto, non solo il comportamento. Diventava “rosso in volto”, “sudava”, ansimava mentre la obbligava a quei giochi che giochi non erano.
E lei per sfuggire a tutto ciò cadde in un mondo tutto suo, dove nessuno può fare del male ai bambini perché nessuno, lì, può più entrare.
Come la protagonista della bella addormentata, cadeva dritta in un sonno senza fine. Qua però, senza alcun principe azzurro per risvegliarla e riportarla tra di noi.
Il nonno fu denunciato, fece un breve periodo ai domiciliari, poi per insufficienza di prove fu scagionato.
Un incidente d’auto se lo portò via tempo dopo (facendogli interrompere il suo ruolo di volontario nella parrocchia dove l’avevano accolto a braccia aperte) e per lui forse fu tutto più facile.
Per Martina no. Lei è rimasta. Senza nessuno che le chiedesse scusa. Che le credesse subito.
Ho ancora in mente le parole del padre di Martina: “figuriamoci se potevo crederle. Si sa che i bambini hanno fantasie. Come poteva il nonno (materno) farle del male, suvvia, magari l’aveva visto in un cartone animato. E poi mica si raccontava chiaramente, se ti fanno male lo dici subito mica ci giri intorno e poi ti vergogni e dici che non è successo niente, non diciamo stronzate qua …..”.
Anche di lui oggi facciamo a meno, la mamma di Martina l’ha lasciato e lotta ogni giorno per far quadrare il bilancio e gestire la sofferenza del proprio “scricciolo”.
Le terapie costano. Tantissimo, se fatte in privato, ma nel pubblico, dove lei vive, purtroppo non è il caso di andarci. Soprattutto quando l’ultima assistente sociale disse che forse bisognava portarla sulla tomba del nonno e farle chiedere scusa.
Scusa…..a Martina nessuno l’ha mai chiesto.
Vorrei farlo io. Le prendo le manine e la guardo negli occhi. Lei oggi si “fida” di me, ma soprattutto non ha più paura. All’inizio invece era tutto più difficile. Non voleva avvicinarsi, non potevo nemmeno salutarla. Vedeva un “maschio” entrare a casa sua e cominciava a tremare.
Bevo un caffè, insieme alla mamma di Martina, mentre la piccola seduta sul divano pettina l’orsacchiotto che le ho portato.
Due cuccioli confinati in un mondo solo.
Lo pettina e lo accarezza. Poi, quasi a dimenticarsi di lui, lo lascia scivolare giù dal divano. È arrivato il momento più brutto, quello in cui la mente di Martina torna, dal suo mondo al nostro. E la piccola soffre. Tanto.
Allora si rannicchia, in posizione fetale, e comincia a cullarsi, da sola, lentamente. Come facevano i bimbi di Casa Tataray (orfanotrofio lager che visitai qualche vita fa) per scacciare i fantasmi che li condannavano a tale esistenza.
Si dondola piano piano, tenendo strette le gambe con le magre braccine. E piano piano le coccole la traghettano nel suo mondo.
Dopo un attimo che dura un infinità riprende l’orsacchiotto in braccio e gli dà un forte bacio.

Poi mi guarda e mi sorride.
Fuori il sole regala gli ultimi raggi prima di andarsene a dormire. Forse è ora che me ne vada pure io. Ciao piccola: scusaci se non ti abbiamo salvata.
Possa il tuo nuovo amico orsacchiotto, entrare in quei brutti sogni insieme a te e scacciare il male……

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