venerdì 25 gennaio 2013

“Devi chiamarmi papà” E la segrega a 4 anni


La bambina veniva presa a colpi di manico di scopa sulla schiena: i nonni l’hanno scoperto dai lividi
Ivrea, il compagno della madre
a processo
Lui non era il suo vero padre. Però pretendeva che lo chiamasse papà. E se la bambina si opponeva erano botte. Poi capitava che per punizione venisse rinchiusa per ore in garage. Al buio: «Così impari la lezione», le dicevano. O che, nel cuore della notte, venisse appesa a testa in giù dal terrazzo di casa. Solo perché piangeva o perché non aveva ubbidito. È andata avanti così per mesi. Fino a quando lei, Alice, una bimba di appena 4 anni, tra lacrime e singhiozzi, ha trovato la forza di raccontare tutto ai nonni.  

Una storia di maltrattamenti e continue vessazioni accaduta anni fa in un paese nel cuore del Canavese, ad una trentina di chilometri da Torino. Uno di quei Comuni di poche anime dove tutti conoscono tutti e sanno tutto di tutti. Questa storia è stata ricostruita ieri, passo dopo passo, in un’aula del Tribunale di Ivrea, dove sono comparsi, come imputati, la mamma della piccola, una quarantenne disoccupata e il suo ex convivente, uno che ha sempre vissuto di espedienti, passando da un lavoro all’altro e da una storia all’altra. Entrambi sono accusati di un reato tremendo: maltrattamenti ripetuti ai danni di una bambina di 4 anni. Oggi i due non convivono più. E dal banco degli imputati si accusano l’un l’altra. «È una di quelle storie che non vorresti sentire mai» dice Patrizia Mussano, l’avvocato di parte civile.  

Se si è finiti davanti al giudice lo si deve alla forza della piccola Alice. Che un pomeriggio di novembre di 6 anni fa, di fronte alle insistenze dei nonni materni che avevano notato i lividi sulla schiena della piccola, aveva trovato il coraggio di sfogarsi. E di raccontare tutto. Le botte con il manico della scopa perché non ubbidiva e le ore passate al buio in garage. E di quella volta che, nel cuore della notte, era stata presa per le caviglie e tenuta sospesa nel vuoto oltre il parapetto del balcone. «Il fidanzato di mamma voleva che lo chiamassi papà – aveva confidato lei, un giorno, allo zio -. E se non lo facevo finivo in punizione». Lo zio, ieri, ha confermato tutto in aula, davanti a giudici e avvocati.  

A rivolgersi ai carabinieri erano stati i nonni, a cui la madre aveva affidato la piccola per un breve periodo di vacanza. «La bambina era strana, si lamentava perché aveva sempre male alla testa. Così abbiamo cercato di capire meglio, usando tanta delicatezza e cautela» ha spiegato, ieri, in Tribunale la nonna. Poco per volta era venuta a galla una storia agghiacciante. Ed era scattata la denuncia. I carabinieri avevano affidato il caso al Tribunale dei minori. Erano state raccolte testimonianze e c’era stato anche un incidente probatorio durante il quale, alla presenza di un neuropsichiatra infantile, la bambina aveva raccontato quei mesi d’angoscia. Fino al rinvio a giudizio della mamma e del patrigno. L’avvocato della donna, Agostino Ferramosca, taglia corto: «La mia cliente c’entra niente. Lo dimostreremo nel corso del processo».  

Ora Alice vive con la nonna materna a Torino. Ha 10 anni e frequenta la quinta elementare. «È tornata serena – racconta l’avvocato della famiglia -, anche se quei mesi pieni di paura l’hanno certamente segnata». 

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