lunedì 6 aprile 2015

Spose bambine: quando matrimonio fa rima con morte


Il fenomeno delle spose bambine è un tema che, purtroppo, non smette mai di essere attuale.
Nei Paesi in via di sviluppo- Cina esclusa- sono ben 70 milioni le ragazze che vanno incontro alla vita coniugale prima di compiere la maggiore età: una donna su tre tra i venti e i ventiquattro anni, infatti, si è sposata quando non ne aveva ancora compiuti diciotto.
Sono tantissime le famiglie che vendono (nel vero senso della parola) le loro figlie perché, in quanto femmine, sono ritenute meno produttive per l’economia familiare. Ma questo non è giusto. Essere mogli sottomesse e subire violenze non è giusto a nessuna età, figuriamoci a sette, dieci o quindici anni. Le bambine che vengono strappate così presto al nucleo familiare e alla loro cerchia di amici avranno, inoltre, conseguenze pesantemente negative per quanto riguarda la sfera affettiva, sociale e culturale.
Una problematica che, in quei posti, sembra essere del tutto normale, all’ordine del giorno. Non si rendono conto che la triste tradizione- se così può essere chiamata- del matrimonio precoce, altro non è se non unaviolazione dei diritti umani. E così, in posti come l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale, il 46% delle donne si sposa in tenera età, nell’età in cui di solito si dovrebbe giocare con i bambolotti e non prendersi cura di un bambino vero. Già, perché in questi Paesi- gli stessi in cui il tasso di mortalità infantile e di malnutrizione è sempre più alto- al matrimonio precoce segue il più delle volte, oltre all’ovvio abbandono degli studi, un altrettanto precoce gravidanza rischiosa per la neo-mamma e per il nascituro. Sono 7,3 milioni le spose bambine che ogni anno mettono al mondo un figlio, di cui due milioni sotto i quindici anni. Ma il corpo di una bambina ovviamente non è pronto per uno sforzo simile, e così i neonati che nascono da una minorenne hanno il 60% di probabilità in più di morire poco dopo la loro nascita, rispetto ai bambini che nascono da una ragazza che ha superato i diciannove anni. E le stesse bambine che si ritrovano improvvisamente a fare le mamme, quelle a cui i diritti umani vengono brutalmente negati, rischiano di morire per abusi sessuali o, appunto, per tentare di portare avanti una gravidanza o per fare un parto a cui non sono ancora pronte.
L’Unicef si batte da tempo per far fronte a questa terribile situazione, per la sensibilizzazione della comunità sui diritti delle bambine e delle ragazze, nella speranza di migliorare le leggi politiche e i servizi sociali dei Paesi in via di sviluppo. E, nonostante in cinque Paesi questa pratica continua a essere molto diffusa, l’Unicef è riuscita a ottenere un decremento piuttosto ingente del fenomeno.
Molte donne non capiscono quanto sia grave la questione. In particolar modo, le donne delle combattenti dell’Isis in Iraq e in Siria non sanno cosa comporti un matrimonio precoce, tanto da aver stilato il manifesto della perfetta musulmana- fortunatamente non ancora ufficializzato- che recita: “Le donne si possono sposare già all’età di nove anni o dovrebbero, comunque, arrivare al matrimonio entro i 16 o i 17 anni“.
Alcune bambine però, al contrario delle combattenti Isis, se ne rendono conto eccome, tanto da lottare con tutte le loro forze. La Giornata Internazionale delle Bambine è l’11 ottobre, ma sessanta bambine di Benisar- un piccolo villaggio nel deserto di Thar, nello stato del Rajasthan- hanno scelto di innalzare una bandiera per l’abolizione del matrimonio infantile lo scorso febbraio, perché un giorno su 365 non basta per guadagnarsi i diritti e non farsi strappare all’infanzia, non basta perché questa terribile tradizione continua a esistere.
Il terzo Paese al mondo con il numero più alto di spose bambine è la Nigeria, ma anche il Bangladesh in fatto di numeri non scherza e proprio lì ci sono innumerevoli casi di matrimoni e gravidanze precoci: Bakul è diventata mamma ad appena 15 anni; Rajbanu, invece, ha avuto la sua prima bambina a 14 anni e oggi, che ne ha 21, si trova con quattro figlie e un prolasso uterino che non può curare. Sempre dal Bangladesh vola fin qui la storia di Sherina che, a soli 24 anni, ha undici tragiche gravidanze alle spalle concluse con aborti, di cui cinque con bambini nati ma morti nei loro primi mesi di vita. È bengalese anche la coraggiosissima Arzina, che a 13 anni si ribellò a un matrimonio combinato con un ricco signore e che oggi, a 23 anni, si impegna per convincere i suoi compaesani a far studiare le proprie figlie anziché darle in sposa, spesso anche mandando all’aria le cerimonie.

Ma il Paese che, indubbiamente, contribuisce più di tutti a comporre (in)consapevolmente i tasselli della compravendita umana tramite i matrimoni precoci è lo Yemen, dove il 32% delle ragazze si sposa prima della maggiore età.
Così come Zainab, che a 12 anni è stata ceduta in sposa a un uomo di 45, lo stesso destino che è toccato alla sorella maggiore Ayan. Non ce l’ha fatta invece la piccola Rawan, che ad appena otto anni è morta la prima notte di nozze per un’emorragia interna causata dal marito 40enne di origine saudita che, dopo averla acquistata dal patrigno per 100mila rial (poco più di 2000 euro), ha voluto assolutamente avere un rapporto sessuale con lei. E, neanche a dirlo, non è stato arrestato, ma viene addirittura difeso dalle forze dell’ordine del suo Paese. Ha deciso di fuggire la yemenita Nada, 11 anni, che ha coraggiosamente rifiutato di sposarsi con un uomo tanto ricco quanto vecchio. È scappata affermando: «non voglio sposarmi, preferisco morire», ricordando come sua zia, a 13 anni, si suicidò dopo essersi cosparsa di benzina perché non sopportava più la sua vita coniugale. Nada non ha voluto imitare la sua coetanea Ghulam, che ha dovuto sposare il 40enne Faiz, ed è scappata salvandosi da un tremendo destino.

La storia più toccante proveniente dallo Yemen ha il volto e la forza di una formidabile bambina: Nojoud Ali, autrice del libro “Io, Nojoud, dieci anni, divorziata“.
Un libro che assapora il lieto fine, che spiega come la piccola Nojoud abbia rifiutato di essere l’ennesima schiava inerme. Nojoud è stata costretta a sposare un 30enne mai visto prima quando aveva solamente otto anni. Un uomo che l’ha picchiata, obbligata a rinnegare la sua infanzia, che aveva promesso di aspettare le sue prime mestruazioni per avere rapporti e invece, la stessa notte del loro matrimonio, ha abusato di lei con una violenza inaudita. Nojoud ha pianto senza mai essere ascoltata, con i genitori che al suo timido e disperato grido d’aiuto rispondevano: «Noi ormai non possiamo fare niente. Se vuoi, vai in tribunale da sola». La piccola non se lo è fatto ripetere due volte, e una mattina è andata al tribunale di Sana’a per ribellarsi alla terribile legge degli uomini, chiedendo il divorzio.
Oggi Nojoud è una studentessa libera, divorziata, che grazie all’indispensabile e prezioso aiuto di una donna è riuscita a porre fine al suo ingiusto matrimonio precoce; e se viene chiesto a Nojoud il motivo che l’ha spinta a scrivere il suo libro, nel quale racconta per filo e per segno il suo percorso, lei risponde: «Se vorrete conoscere la mia storia, forse anche la storia di tante bambine come me potrà avere un finale diverso».
E se il finale alternativo è fatto di abusi, gravidanze e morte, forse è il caso di sapere cosa ha subito la yemenita Nojoud e, come lei, milioni di altre bambine sparse in tutto il mondo. Perché a otto o a 15 anni è troppo presto per sposarsi, è troppo presto per morire.

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