lunedì 23 settembre 2013

Omicidio Yara Gambirasio, la nuova pista della pedofilia


Yara Gambirasio
Nell’ambito dell’omicidio di Yara Gambirasio è spuntata una nuova pista. Si tratta di quella della pedofilia. Gli inquirenti si sono chiesti se la piccola possa essere stata vittima di un pedofilo. In effetti ci sono degli indizi che ricondurrebbero a questa linea. In particolare una donna avrebbe raccontato di un caso relativo ad un’altra ragazzina che abita nella zona bergamasca. L’episodio sarebbe accaduto pochi giorni prima della scomparsa di Yara. La ragazzina in questione avrebbe denunciato gli abusi subiti da parte di un allenatore di ginnastica. Per vagliare l’ipotesi di un collegamento, gli investigatori hanno effettuato un confronto fra le tracce di dna ritrovate sul corpo della ginnasta con quello di 162 uomini accusati di pedofilia e condannati per questo reato, che vivono proprio nella zona in cui viveva l’atleta.
Un’altra recente pista è quella che conduce a Salice Terme. Proprio in questo paese gli inquirenti pensano che abbia soggiornato negli anni ’60 Giuseppe Guerinoni, il padre del presunto assassino. A quanto pare, l’uomo era solito trascorrere due settimane ogni anno proprio a Salice Terme. I fatti sarebbero avvenuti prima ancora di sposarsi. Gli inquirenti presumono che durante questi soggiorni l’uomo abbia potuto conoscere la donna che sarebbe stata la madre di un figlio illegittimo, che è stato designato nell’indagine con il nome di “Ignoto 1″. Le forze dell’ordine hanno consultato gli elenchi forniti dall’Inps e i registri degli hotel, per cercare di capire chi possa essere stata la donna. Quest’ultima sarebbe tornata poi con il bambino proprio nella stessa zona in cui ha colpito l’assassino.
 
Intanto nell’inchiesta è uscito di scena Mohamed Fikri. Negli ultimi tempi era stato accusato difavoreggiamento, ma è stata disposta l’archiviazione del ruolo dell’extracomunitario. A deciderlo è stato il giudice delle indagini preliminari, che ha valutato la posizione del piastrellista. L’avvocato della difesa, Roberta Barbieri, si è dichiarata soddisfatta per l’esito della situazione.
Precedentemente è stato fermato Domenico De Simone, un 60enne ex collaboratore di giustizia, l’autore della lettera in cui diceva di essere l’assassino di Yara. A quanto pare l’uomo avrebbe fatto tutto, perché è alla ricerca di notorietà.
Già nel 2000 si era messo al centro dell’attenzione, quando con il fratello si era incatenato davanti a Palazzo Frizzoni, per dimostrare di essere abbandonati dallo Stato. De Simone ha raccontato di un episodio accaduto al pronto soccorso di Ponte San Pietro: due donne avrebbero fatto riferimento ad una palestra e ad un braccialetto con le iniziali.
Le donne in questione non hanno mai pronunciato il nome di Yara, ma l’uomo ha nella sua mente ricollegato il tutto. Il racconto di De Simone è senza fondamento. L’uomo non è stato denunciato per procurato allarme.
Il presunto assassino di Yara era tornato a farsi vivo con il cappellano della piccola chiesa dell’ospedale di Rho – Milano – in cui sabato scorso è stato ritrovato un messaggio sul quaderno delle preghiere dei fedeli. Nel messaggio, l’uomo, che diceva di chiamarsi Mario, aveva lasciato intendere di essere a conoscenza dell’identità dell’omicida della giovane ragazza di Brembate. In una nuova missiva indirizzata a don Antonio Citterio, aveva dichiarato apertamente di essere proprio lui il killer di Yara.
In una lettera di tre pagine, posta sotto lo zerbino della porta di casa, don Antonio Citterio aveva trovato una busta contenente tre fogli scritti a penna e firmati da un certo Mario. Il presunto killer ha scritto al cappellano: “Mi chiamo Mario, sono stato io a scrivere il messaggio sul libro delle preghiere in chiesa“.
L’uomo aveva pure anticipato la lettera con una telefonata in portineria: “Buongiorno, mi chiamo Mario, sono malato di cancro. Sono io l’autore del messaggio in chiesa su Yara Gambirasio. Volevo solo sapere se il cappellano ha ricevuto la mia lettera“. Enrico Pelillo, legale della famiglia Gambirasio aveva affermato: “Siamo contenti della solerzia della magistratura per l’attenzione a ogni vicenda legata a questo caso, anche se non ci facciamo troppe illusioni. Di mitomani ne abbiamo già visti parecchi“.
L’indagine su un fazzoletto
Nella chiesa di Santa Maria della Pace, nell’ospedale di Rho, dove è stato trovato il messaggiodel presunto assassino di Yara Gambirasio, è stato rinvenuto poco dopo anche un fazzoletto. Era a terra, proprio vicino al registro dei visitatori preso in consegna dagli inquirenti. C’era scetticismo fin dall’inizio, ma dopo tre anni di indagini qualsiasi elemento non poteva essere trascurato.
Intanto si apprende che una mamma residente in provincia di Milano ha creduto che suo figlio adottivo potesse essere l’assassino di Yara, e ha chiesto che gli venisse effettuato il test del Dna. I carabinieri di Como hanno dunque effettuato i controlli e il figlio di questa anziana donna è entrato nelle indagini sull’omicidio della giovane ginnasta bergamasca uccisa nel 2010 condotte dal pm Letizia Ruggeri. In conclusione l’esame ha dato esito negativo, non c’è parentela tra il ragazzo e Giuseppe Guerinoni, ritenuto il possibile padre dell’assassino di Yara.
Il messaggio ritrovato in chiesa
La polizia aveva scoperto la scritta firmata dal presunto omicida della ragazzina, sul registro delle visite dove vengono lasciati i messaggi di parenti e fedeli, all’interno della piccola Cappella dell’ospedale Salvini di Rho, nell’hinterland del capoluogo lombardo. Poche righe scritte con inchiostro nero che hanno subito fatto scattare le indagini del commissariato Rho-Pero.
Sul foglio la scritta appare decisa, è a penna con inchiostro nero: “Informate la polizia di Bergamo che qui è passato l’omicida di Yara Gambirasio. Che Dio mi perdoni“, è il testo che si legge. La polizia ha sequestrato tutti i filmati delle telecamere di sorveglianza dell’ospedale.
La scientifica è stata invece a lavoro nel tentativo di isolare impronte digitali o campioni di Dna dalla carta del registro delle visite della Cappella. “Non possiamo sottovalutare alcuna ipotesi“, hanno spiegato gli inquirenti milanesi, che hanno subito avvisato polizia e carabinieri di Bergamo.”Faremo di tutto perché si arrivi alla verità” – ripetevano gli investigatori – “Lo dobbiamo alla famiglia di Yara“.
Gli investigatori, guidati dal dirigente Carmine Gallo, sono gli stessi tecnici che hanno eseguito l’autopsia sul corpo della 13enne, che hanno raccolto e repertato i 14 mila campioni di saliva prelevati agli abitanti della Val Brembana in cerca del figlio illegittimo di Giuseppe Guarinoni, l’autista di autobus morto a 61 anni nel 1999. Dai risultati di una recente indagine scientifica l’uomo sarebbe il padre del killer della ragazzina scomparsa il 26 novembre del 2010 a Brembate e ritrovata morta a Chignolo d’Isola.

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