mercoledì 23 dicembre 2015

Gli auguri di Buone Feste del Presidente Claudio Greggio


Il Presidente Claudio Greggio augura a tutti gli amici e simpatizzanti, i più calorosi auguri di Buon Natale e di un prosperoso anno 2016.

domenica 20 dicembre 2015

Pedofilia, prete patteggia. Nei filmati i bimbi costretti a rapporti con gli animali


Un altro allucinante caso di pedofilia. Ha patteggiato la pena di 2 anni e mezzo di carcere un prete piemontese, don Giorgio Porcellana, arrestato nel maggio scorso nell’ambito di un’inchiesta su un giro di pedopornografia online coordinata dal pm di Milano Giovanni Polizzi. Il sacerdote, un salesiano, attualmente ai domiciliari nella casa dei genitori a Torino, è accusato di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico. Tra il materiale scambiato sul web dalle persone coinvolte nell’indagine c’erano foto e video con bambini di pochi anni.

Pedofilia, il contenuto dei filmati e delle foto

I bambini, nella maggior parte dei casi provenienti dall’Estremo Oriente, nei filmati e nelle foto erano oggetto di violenze e anche costretti ad avere rapporti sessuali tra loro o con animali. Secondo le accuse, il religioso aveva acquisito in particolare scatti di preadolescenti. Nelle conversazioni sul web con gli altri indagati, don Giorgio Porcellana aveva celato la sua vera identità. Si fingeva infatti un manager statunitense, spesso in Italia per motivi di lavoro. Il prete aveva vissuto per diversi anni a Oulx, località della Val di Susa, in provincia di Torino, e recentemente era stato trasferito ad Alassio, in Liguria, dove è stato arrestato. Il Tribunale di Milano ha accolto quindi la sua richiesta di patteggiamento, che aveva già ottenuto il parere favorevole del pm Polizzi. L’inchiesta condotta dalla polizia postale aveva portato all’arresto di altre tre persone, anche loro accusate di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico aggravato dalla minore età delle vittime, attualmente sotto processo con rito abbreviato davanti al gup di Milano Anna Magelli. Nei giorni scorsi il pm ha chiesto la loro condanna a pene da 2 anni e 8 mesi fino a 2 anni e 10 mesi di carcere. La sentenza è prevista per il prossimo 11 dicembre. Altre persone sono invece indagate a piede libero. I presunti pedofili, provenienti da diversi Paesi, si incontravano sul social network russo Imgsrc.ru, utilizzato dagli iscritti per pubblicare immagini di vario genere. Si lanciavano segnali attraverso commenti in codice a fotografie non pedopornografiche di bambini, spostando poi le conversazioni, quasi sempre in lingua inglese, su altre piattaforme web, dove avveniva lo scambio di migliaia di immagini e video da parte della rete internazionale. Scambio che nella maggior parte dei casi non richiedeva una contropartita economica, ma piuttosto la fornitura di altre immagini con il sistema del peer to peer. Le indagini sono state effettuate da agenti della polizia postale sotto copertura, che sono riusciti a infiltrarsi nella rete fingendosi pedofili.

Prete arrestato per pedofilia a Gioia Tauro, gip: “Vescovo sapeva”. “Non parlare con i carabinieri”


“Gli chiesi circa 40 euro per un rapporto orale e lui me ne offrì 20. Io accettai”. È agghiacciante il racconto del ragazzo minorenne abusato dal sacerdote della Piana di Gioia Tauro arrestato venerdì 18 dicembre dalla squadra mobile di Reggio Calabria che, durante la perquisizione nella canonica del religioso, ha sequestrato numerosi file con immagini e video pedopornografici, 16 grammi di marijuana, lubrificanti, un vibratore, manette, cerotti afrodisiaci. Ma anche uno strumento per l’aumento delle dimensioni del pene.
Dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip su richiesta della Procura di Reggio Calabria sono spuntati particolari che rischiano di provocare un terremoto nella diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. Emerge, ad esempio, che il vescovo Francesco Milito sapeva del comportamento del suo sacerdote del quale non pubblichiamo in nome per rispetto del vittime degli abusi tra le quali ci sono anche figli di soggetti legati alla ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro.
Da tempo il prete sapeva di essere indagato ma non “si è fermato – scrive il gip – quando le voci sui suoi comportamenti omosessuali sono arrivate fino al suo vescovo. Persino il fatto di essere stato controllato per tre volte in circostanze equivoche con minorenni non ha avuto alcun concreto effetto deterrente”. Pesantissimi i riferimenti che il giudice per le indagini preliminari fa sulla consapevolezza del vescovo: “Neppure sarebbe tranquillizzante – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – che il suo superiore gerarchico, l’attuale vescovo di Oppido Mamertina, individuasse altra collocazione, perché, per quanto fin qui emerso, l’Alto prelato (pur al corrente delle voci che circolavano sul conto del prete attraverso le informazioni ricevute da due parrocchiane le quali in precedenza avevano compiti di responsabilità presso la stessa parrocchia e persino della perquisizione domiciliare e del sequestro eseguito a carico dell’indagato) non ha adottato provvedimento cautelativi né di minima verifica delle accuse rivolte all’indagato (il quale già nel 2010 aveva presentato una lettera di dimissioni), assumendo atteggiamenti particolarmente prudenti e conservativi dello status quo, dando pieno credito alla versione negatoria dello stesso accusato, in attesa dello sviluppo delle indagini penali”.
Vescovo e prete si sentivano e discutevano dell’inchiesta. “Ma dalle conversazioni intercettate – scrive sempre il gip – emergerebbe anche il comportamento assunto dal vescovo della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, monsignor Francesco Milito, che, consigliava al sacerdote ‘di evitare di parlare con i carabinieri di queste cose e, in generale, con nessun appartenente alle forze dell’ordine, poiché questi non si limitano a parlare amichevolmente come stanno facendo loro, ma potrebbero redigere un promemoria che potrebbe far degenerare le cose’”.
Le suore chiacchierano e le voci si fanno sempre più insistenti. Il prete si confida sempre con il vescovo che, a sua volta, lo rassicura: “Lascia perdere questo perché non… la cosa gravissima non è, è questo pettegolume di suore. Tu piomba subito e glielo puoi dire, io mi sono incontrato col Vescovo, il vescovo ci è rimasto proprio… (incomprensibile)”. E intanto, su Facebook è stata creata una pagina per difendere il prete arrestato per aver abusato dei minori. Una pagina che ha già 45 iscritti.

venerdì 4 dicembre 2015

Le case-famiglia e i diritti dei bambini

I dati, snocciolati uno a uno, fanno impressione. Ogni anno in Italia si spendono 3 miliardi di euro per mantenere i bambini nelle case-famiglia: si tratta di una cifra che oscilla tra gli 80 e i 400 euro a testa al giorno. Secondo una ricerca i bimbi, dopo 4 mesi in queste strutture, riportano danni fisici e culturali, scarsa autostima, cattivo apprendimento e via elencando. Eppure, il fenomeno dei bambini affidati alle case-famiglia è in continuo aumento. Solo a Roma nel 2012 erano 1600 i minori tolti alle famiglie e ospitati nelle strutture protette (30% in più in 10 anni). Spesso per indigenza delle famiglie, spesso per una sindrome che non esiste: la Pas, la cosiddetta Sindrome di alienazione parentale di cui tante volte si è occupata GiULiA. (http://giulia.globalist.it/)

Tutti questi dati sono relativi al 2012: dopo non risultano più - neppure ai parlamentari che intendono occuparsene - altre ricerche, analisi, approfondimenti. Quanti bambini sono stati portati nelle case-famiglia perché provenienti da famiglie indigenti, quanti sono vittime di decisioni assai contestabili del Tribunale dei minori per conflitto tra i genitori, non si sa. Quanto sarebbero potuti essere spesi meglio quei soldi, a favore dei bambini e dei loro diritti, nessuno ha fatto i conti. 

La buona notizia è arrivata al recente convegno "Mater incipit vitae. Lo stato protegge i suoi figli?" (alla fine di ottobre, ad Assisi), dove la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, ha detto che "Nessuno intende fare spending review sui bambini". Almeno questo. Ora però si attende che i parlamentari interessati (per fortuna ce ne sono) riescano a lavorare in una commissione interparlamentare, per fare chiarezza sulle risorse e sulla loro destinazione. Ma, prima di tutto, sui diritti dei bambini che in questo "mercato" sono solo oggetti, non cittadini. 

Il convegno di Assisi, in realtà, non si è fermato a questo: Antonella Penati (la mamma di Federico Barakat, ucciso dal padre in un "incontro protetto" quando aveva solo 8 anni) ha richiamato in una due giorni fittissima di interventi tutti gli attori possibili del sistema, dagli avvocati ai giudici, dagli assistenti sociali agli psicologi, dai poliziotti ai giornalisti, ai politici, per esaminare lo spettro più ampio possibile dei problemi che si intrecciano sulla testa dei bambini. 

Da questo convegno Penati con la sua associazione "Federico nel cuore" ha lanciato anche una campagna, www.fight4chilprotection.org, "per contribuire alla creazione di una cultura di maggiore attenzione ai diritti del bambino, attraverso strumenti formativi, sportelli di aiuto e campagne informative".

Ma quello dello scandalo delle case-famiglia (pur nella diversità degli interventi) è stato uno dei punti più dolenti: e vengono in mente le immagini di bambini letteralmente strappati alla loro vita - basta la memoria delle immagini sconvolgenti del bimbo di Cittadella (Pd), mandate in onda da "Chi l'ha visto?"- mentre si fanno i conti dei soldi che forse, in modo assai più proficuo, potrebbero essere destinati ai bimbi per permettere loro una vita migliore, invece di distribuire i soldi a pioggia a strutture d'accoglienza che nascono come funghi.

“Maestra, papà mi ha legata a letto e poi” Dramma a scuola, il dramma della bimba di 8 anni


Un semplice tema di scuola elementare è risultato la prova decisiva nel processo contro un uomo di 48 anni, condannato a passare otto anni in carcere. E’ quanto accaduto a Chivasso (Torino): a una bambina di otto anni viene assegnato il compito di scrivere un tema di sua invenzione. Ma quello che è emerso dal racconto non è decisamente frutto dell’immaginazione. La bimba ha infatti sfruttato l’occasione per raccontare gli abusi sessuali del padre, subiti in seguito al divorzio dei genitori.
Un tema pieno di paura, che è arrivato ai carabinieri e ai magistrati portando l’attenzione sul papà della piccola. Subito i primi indizi: sul computer dell’uomo sono state trovate foto pornografiche e alcuni volti di pornostar e modelle sostituite con la testa di un’altra figlia, la sorellastra della bambina. Dopo il tema la piccola, interrogata da maestre e investigatori, ha raccontato i particolari della traumatica storia tra le lacrime: il padre l’avrebbe infatti legata a letto, per poi palpeggiarla su tutto il corpo.
Così, grazie al tema, il giudice Cecilia Marino del tribunale di Ivrea ha condannato l’uomo a otto anni di reclusione. Non solo, il 48enne dovrà risarcire la figlia con 40mila euro, mentre 10mila euro andranno alla sorellastra. E’ stato anche interdetto dai pubblici uffici e gli sarà impedito di svolgere lavori o ricoprire incarichi che lo mettano a contatto con minori.