martedì 29 settembre 2015

Pedopornografia: annullati domiciliari a vibonese arrestato


La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la pronuncia con cui il tribunale del riesame di Catanzaro aveva confermato la custodia cautelare agli arresti domiciliari a carico di Antonio Columbro, 75enne vibonese, arrestato a gennaio per produzione e detenzione di materiale pedopornografico. Il giudice supremo ha accolto il ricorso presentato dal difensore dell'uomo, l'avvocato Eugenio Perrone, che ha impugnato la decisione del riesame, e dunque il tribunale catanzarese dovrà nuovamente pronunciarsi sulla vicenda. Columbro, che ha numerosi precedenti specifici per reati analoghi, è stato arrestato l'ultima volta lo scorso 3 gennaio dai carabinieri di San Ferdinando perché, secondo le ipotesi d'accusa a suo carico, avvicinava bambini, magari offrendo loro dei dolci, e li fotografava con il cellulare.
I militari che lo sorvegliavano hanno seguito l'uomo passo passo fino a casa dove gli hanno trovato un migliaio di fotografie dal contenuto pedopornografico, arrestandolo per pornografia minorile e detenzione di materiale pedopornografico. A carico dell'uomo erano stati poi disposti gli arresti domiciliari con un provvedimento che la difesa aveva impugnato davanti al tribunale del riesame di Catanzaro - che in materia di pedopornografia ha competenza distrettuale -, dove i giudici avevano però confermato l'ordine di custodia. La Cassazione ha annullato quella decisione ed ora si attende la nuova pronuncia dei giudici del capoluogo calabrese.

Pedopornografia: sequestrate le immagini di decine di ragazzine sul web

Gli agenti della Polizia di Matera sono impegnati in una operazione antipedopornografia finalizzata al sequestro di materiale informatico contenente immagini di decine e decine di ragazzine, acquisite illegalmente da un trentenne del luogo, che risulta incensurato. L'indagine è partita dalla denuncia di due minorenni contattate sui propri profili Facebook da una sedicente segretaria di redazione del famoso marchio Yamamay (totalmente estraneo alla vicenda), che millantando provini in corso per selezionare nuove modelle per la pubblicizzazione del marchio, richiedeva foto in costume

Pedopornografia, tre anni ma fa appello. Un 48enne è stato condannato per detenzione di materiale e giovedì sarà a Venezia


Centotrenta foto nel computer. Minorenni in pose o atteggiamenti inequivocabili. Non soltanto europei, ma anche asiatici, da quanto si è capito, durante le indagini e il successivo processo. Un agordino di 48 anni è stato condannato in primo grado a tre anni di reclusione per la detenzione di materiale pedopornografico dal giudice Antonella Coniglio. Senza la sospensione condizionale. Giovedì mattina ci sarà l’appello per L.G., di fronte alla Corte di Venezia, con il suo difensore di fiducia Mariangela Sommacal.
Dovesse essere confermata la condanna, l’uomo la sconterebbe in carcere, nel frattempo ha inevitabilmente perso il lavoro, non appena il suo principale ha saputo del suo coinvolgimento nella vicenda. Naturale che speri in una riduzione sostanziosa della pena, anche se non sarà per niente facile. L'agordino, che abita in un paesino della vallata non meglio identificato, finì nell'inchiesta della procura della Repubblica di Firenze insieme ad altri 67 indagati. A metterlo nei guai sarebbero stati i contatti frequenti avuti con altre persone finite nell'inchiesta sulla pedopornografia, battezzata “Thyphoon” e condotta dalla polizia postale, che stava monitorando il fenomeno.
Impressionanti i numeri collezionati dagli investigatori: tre gli arrestati e 65 gli indagati, un po’ in ogni angolo d’Italia. E ancora, all'epoca dell’operazione, furono sequestrati 36 personal computer, 56 notebook portatili, 114 hard disk, nonché oltre 7000 cd e dvd, contenenti immagini ritenute di interesse investigativo. Tra gli arrestati un maestro elementare in pensione di 70 anni, un cuoco di 35 ed un impiegato di un ente pubblico di 55.
Nel novembre di sei anni fa, la polizia postale fiorentina andò anche a casa di questo agordino, che all’epoca dei fatti avveva 42 anni, tramite i colleghi bellunesi e scoprì il materiale all’interno del suo computer personale, provvedendo al sequestro. La spiegazione sarebbe stata che quelle erano immagini abbastanza facili da reperire, senza nemmeno ricorrere a particolari indirizzi in internet, conosciuti solo da coloro che sono abituati a frequentare un certo tipo di mondo illegale. C’è stato un processo, nel tribunale di Belluno, che ha subito anche alcuni rinvii per l’assenza temporanea dei testimoni e, alla fine del quale, l’imputato è stato condannato a tre anni di reclusione senza la sospensione condizionale della pena.
Dopo la sentenza, L.G. è sempre rimasto a casa e ha chiesto al suo legale di presentare l’appello,
che sarà discusso dopèosomani. Come anticipato, se la condanna pronunciata in città dovesse essere confermata, scatterebbero le manette, diversamente potrebbe evitare il carcere, con tutto quello che può significare per coloro che si macchino di questo genere di reato.

Foto di ragazzine grazie a falsi provini, blitz anti-pedopornografia a Matera


Blitz della polizia di Matera contro la pedopornografia. Gli agenti sono impegnati in un'operazione finalizzata al sequestro di materiale informatico, contenente immagini di decine e decine di ragazzine acquisite illegalmente da un trentenne del luogo, incensurato. L'indagine è scattata dopo la denuncia di due minorenni, contattate sui propri profili Facebook da una sedicente segretaria di redazione del famoso marchio Yamamay che, millantando provini in corso per selezionare nuove modelle per la pubblicizzazione del marchio, richiedeva foto in costume, cui seguiva invito per effettuare i provini stessi.
La polizia postale di Matera ha accertato che l'inganno risultava convincente, in virtù dell'utilizzazione fraudolenta di un link che realmente accedeva al sito Yamamay, totalmente estraneo alla vicenda. Quando le ragazze si sono presentate al negozio della città di Matera, parlando con l'ignaro proprietario hanno avuto l'amara sorpresa: nessun concorso, nessun provino, foto inviate evidentemente a uno sconosciuto millantatore.
Successivamente alla denuncia anche del proprietario del negozio, le indagini hanno consentito di risalire a un 30enne che, con questo stratagemma, si è impossessato di decine e decine di foto di minorenni. La Procura presso il Tribunale di Potenza, competente per la materia dei reati online, procede per i reati di: sostituzione di persona, possesso di materiale pedopornografico, truffa.

Così il pedofilo rapisce la bimba di 6 anni. Ma non immagina di essere spiato

Una scena agghiacciante ripresa dalle telecamere a circuito chiuso ha permesso l'individuazione e l'arresto di un pedofilo recidivo. Si tratta diImran Khan, recentemente scarcerato dopo una condanna di 9 anni per abusi su una ragazzina di 12 anni. L'uomo è stato ripreso in una strada diBurnley, nel Lancashire, in Inghilterra.

Nelle immagini lo si vede aggirarsi in auto in cerca di una preda. Poi sceglie una bambina di sei anni in sella alla sua bicicletta. L'orco si ferma e la carica nel suo bagliaio, mentre la piccola grida terrorizzata. Poi la getta in un bidone della spazzatura, senza però aver usato violenza.

La bambina è stata ritrovata da un gruppetto di coetanei dopo che i genitori ne avevano denunciato la scomparsa.

Ora il 45enne Khan tornerà nuovamente dietro le sbarre, dopo essersi dichiarato colpevole delle accuse di sequestro di persona, rapimento con l'intenzione di commettere un reato a sfondo sessuale e violazione di un ordine del tribunale che gli impedisce di avvicinarsi ai bambini.

lunedì 28 settembre 2015

Per non dimenticare Desirée Piovanelli

Il 28 settembre 2002 viene uccisa a Leno (Brescia) Desirée "Desy" Piovanelli , che all'epoca del delitto aveva appena 14 anni ed era iscritta al primo anno del Liceo Scientifico, conosceva fin dall'infanzia (o comunque da molti anni) i suoi killer, che abitavano tutti nella sua stessa via, in qualche occasione, aveva fatto da "baby sitter" al figlio di Giovanni Erra, l'unico maggiorenne del "branco". Anche il luogo in cui avvenne il delitto (la "Cascina Ermengarda" sita in via Abruzzo) si trovava nelle immediate vicinanze delle abitazioni di vittima e carnefici (via Romagna).

GLI AGUZZINI: Nicola B.
Amico d'infanzia di Desirée, all'epoca del fatto aveva 16 anni ed aveva abbandonato gli studi, lavorando saltuariamente come manovale. Desirée aveva rifiutato più volte le attenzioni di Nicola e questo atteggiamento provocò anche la sua voglia di vendetta. La ragazza aveva annotato alcune considerazioni su Nicola nel proprio diario, definendolo come una persona da cui stare alla larga.

Nicola V. "Nico"
Coetaneo di Nicola B., muratore e amante della Playstation, condivise con Nicola la voglia di vendetta nei confronti della vittima. Considerato il "duro" del gruppo, fino ad oggi non ha fatto alcuna confessione.

Mattia F. "Bibo"
Di soli 14 anni all'epoca dei fatti, studente di terza media e amico di Nicola, dopo esser stato scoperto, confessò subito agli inquirenti che, oltre ai soliti argomenti di cui discuteva, nel branco c'era un argomento fisso: Desirèe. Inoltre tirò in ballo Giovanni Erra come "ispiratore" del "branco" e indicandone un ruolo attivo nell'omicidio. Era la parte "debole" del gruppo.

Giovanni Erra
L'unico maggiorenne del "branco" (all'epoca del fatto aveva 36 anni) . Sposato e padre di un figlio di 8 anni, abitava in via Romagna da qualche anno. Lavorava come operaio in una fonderia a San Zeno Naviglio e aveva avuto in passato problemi di tossicodipendenza; inoltre una compagna di Desireé raccontò che quest'ultima aveva ricevuto da Erra vari messaggi SMS d'amore. Erra minimizzò i fatti affermando che la ragazzina frequentava casa sua perché era diventata amica di suo figlio al quale faceva saltuariamente da "baby sitter" e ridusse i messaggi scambiati tramite cellulare a una sola "scherzosa" relazione. Non è stato tuttora accertato se Erra durante l'omicidio abbia avuto un ruolo attivo o meno. Erra descrisse ai ragazzi Desireé come una "ragazza facile".

La pianificazione del delitto
L'idea parte il 26 settembre da Nicola e Nico che dopo aver deciso di violentare Desirée si accordano tra loro stabilendo l'ordine con cui avrebbero violentato la ragazza. Il tutto avvenne in una discussione in via Romagna davanti alla loro abitazione e poco lontano dal luogo dell'omicidio, Cascina Ermengarda.
La mattina del 28 settembre Nicola acquista un caricabatterie adattabile al cellulare di Desy, un sacchetto di cellofan per nascondere gli indumenti sporchi di sangue ed infine, nel supermercato del paese, un coltello da cucina con una lama di 20 cm. Nico si occupò di procurarsi delle fascette autobloccanti per l'immobilizzazione della loro giovane vittima.

Il delitto
Secondo Mattia l'appuntamento era alle 16:00 del 28 settembre quando, dopo aver finito la partita di pallone, raggiunse Cascina Ermengarda. Dopo esser salito al primo piano della cascina vide Erra nella stanza vicina dove c'erano Nicola e Nico che tentavano di violentare Desireé: Nicola era riuscito ad attirare nella cascina abbandonata Desy (che stava andando a fare visita ad un'amica) con la scusa di farle vedere dei gattini.
Nicola fece un cenno a Mattia intendendo con lo stesso di dare manforte a Nico nel trattenere Desireé, che si stava opponendo con tutte le forze al tentativo di violenza sessuale portato avanti da Nicola. Quando la vittima disse a Nicola "Mi fai schifo, mi fai pena", scatenò la mortale violenza del ragazzo a cui fece seguito il massacro.
Nicola perse il controllo e la colpì con una coltellata al costato, Desireé riuscì a divincolarsi ma venne bloccata da Erra che era uscito dall'altra stanza, così fu costretta a tornare dai suoi killer. Cercò di fuggire dalla finestra, ma venne colpita da due o tre coltellate alla schiena che la fecero cadere a terra esanime e la portarono dopo un'agonia di un'ora e mezza (come stabilì l'autopsia) alla morte.
Erra e Nico cercarono di sollevarla e Nico le sferrò l'ultimo fendente tentando di sgozzarla, quando ormai Desireé era già morta. Nicola, raccolto il sacchetto di plastica acquistato in precedenza, sfilò dal corpo della giovane i jeans e gli slip con l'intento di nasconderli per simulare l'azione di un maniaco. Inoltre Nicola raccontò di aver legato i piedi di Desireé con nastro da pacchi. Erra disse che era giunto alla Cascina Ermengarda a delitto già avvenuto, asserendo di aver visto il cadavere solo dopo l'omicidio. Asserì che nel lasso di tempo in cui era avvenuto l'omicidio, era rimasto a casa a dormire.

La scoperta
Nicola inviò un SMS al fratello di Desirée facendogli credere che fosse stata la sorella stessa ad inviarlo, dicendogli che stava bene, che era dal suo ragazzo e di non preoccuparsi. L'SMS era stato inviato con una scheda acquistata in un camping a Jesolo nell'agosto di quell'anno, così le indagini si diressero su chi aveva frequentato il camping di Jesolo, abitava a Leno ed aveva all'incirca la stessa età di Desireé. Il 2 ottobre il padre Maurizio fece un appello alla ragazza di tornare a casa. Il 3 ottobre Nicola, messo sotto torchio dagli inquirenti, confessò di aver ucciso Desireé nella cascina Ermengarda; dopo la sua confessione venne ritrovato sempre nella cascina abbandonata il cadavere della giovane. Il giorno seguente furono arrestati gli altri minorenni del gruppo e qualche giorno dopo anche Giovanni Erra.

I funerali
I funerali di Desy si svolgono l'8 ottobre Sala del Regno dei Testimoni di Geova di Manerbio alla presenza di 250 persone tra cui 22 compagni della scuola che frequentava Desireé. La ragazza è stata sepolta a Leno alla presenza di 3.000 persone con la presenza del gonfalone del comune e della provincia di Brescia e del sindaco di Leno.

Le condanne

In primo grado il procuratore Emilio Quaranta del Tribunale dei minori di Brescia condannò il 19 marzo 2003 Nicola a 20 anni di carcere, Nico a 18 e Mattia a 14 anni di reclusione. La Corte d'appello il 20 ottobre 2003 ridusse le pene di Nicola da 20 a 18 e di Nico da 16 anni a 15 anni e 4 mesi.

Nicola, Nico e Mattia sono stati infine condannati, in via definitiva, a 18, 15 e 10 anni. Erra con la sentenza in Corte di Cassazione del 28 gennaio 2005 è stato condannato a 20 anni di reclusione con la richiesta di inasprire la pena. Il 4 novembre 2005 Erra è stato condannato dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano a 30 anni di carcere, quindi finirà di scontare la pena nel 2035 a quasi 70 anni d'età.

domenica 27 settembre 2015

Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me...

Il vangelo di oggi dice: "Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare". 
Con piccoli, Gesù intende tutte le persone, non solo i bambini, ma anche i poveri, gli oppressi, gli emarginati. Persone che provate dalla vita si rifugiano in Dio e in lui hanno speranza. 
Purtroppo però ai giorni d'oggi, sono i piccoli a continuare a soffrire, la chiesa, come lo stato e i governanti, di continuo ci invitano ad aiutare il prossimo, ma loro per primi, che hanno possibilità economiche maggiori, non si privano di ori e merletti. 
Anche in questa italia, terra di missione, si predica bene, ma si razzola male, e su questo la chiesa e molti preti ne sono maestri.

Condannato per pedofilia "La sua vita organizzata per stuprare bambini"


Per undici anni ha stuprato undici bambini, organizzando la sua vita attorno a questo scopo. È questo il motivo che ha portato alla condanna a 14 anni di reclusione e 71mila euro di multa di Maurizio Maria Lazzari, psichiatra infantile 55enne originario di Busto Arsizio.
"Non è il pedofilo che, in circostanze eccezionali e contingenti, cede alla sua pulsione", scrive il gup che lo ha condannato lo scorso giugno, "Egli ha lucidamente organizzatoe strutturato la sua vita professionale (ovvio che non tutti i suoi pazienti erano anche vittime di abusi) con il fine di soddisfare il suo innaturale desiderio sessuale. E proprio perché il Lazzari ha comunque una formazione scientifica specialistica, egli era e doveva essere perfettamente consapevole del male infinito arrecato alle sue piccole vittime".
Oltre alle violenze, avvenute nel suo studio durante le visite, fotografava le sue vittime e li perseguitava via sms. Inoltre si spacciava per esperto a livello internazionale e ostentava titoli che non aveva tanto da essere sospeso per due mesi dal Consiglio dell'ordine dei medici.

Soggetto di diritto ma incapace di intendere e volere. Riflettiamo!!



Navigando su internet, mi sono imbattuto sul portale dei servizi sociali, alla voce "minori", noto questa frase: "Il minore per l’ordinamento giuridico è soggetto di diritto, ed essendo considerato incapace di intendere e volere fino al compimento della maggiore età, va tutelato sia da chi ne ha la potestà (in quanto genitore o tutore), sia dai servizi sociali". Soggetto di diritto ma incapace di intendere e volere. L'articolo 12 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, considera il bambino come soggetto attivo, capace di espressione e di pensieri validi. Il bambino deve poter esprimersi riguardo a tutte le questioni che lo interessano, come il matrimonio e i cambiamenti dell'ambiente che lo circondano.
L'art. 12 stabilisce un legame tra il bambino e la sua vita quotidiana. Si focalizza sulle circostanze più vicine al soggetto: legami familiari, educazione, scuola, tempo libero, salute.
È collegato allo sviluppo della persona del bambino. L'art. 12 permette anche al bambino di avere un ruolo attivo. I servizi sociali, lo definiscono incapace di intendere e volere. Riflettiamo, vogliamo ancora chiedere aiuto ai servizi sociali quando si tratta di questioni legate all'infanzia?

sabato 26 settembre 2015

Infanzia a rischio: In Italia sono 1,4 milioni i bambini che vivono in povertà


Sempre meno spazi e opportunità per i bambini, stretti fra indigenza (oltre 1.4 milioni in povertà assoluta), la vita in aree metropolitane (dove si concentra il 37% dei minori) spesso prive di servizi, una scuola “dimezzata” (tempo pieno per non più del 50% di scuole), 1 minore su 4 vive in appartamenti inadeguati e più di 65 mila nuclei familiari sono sotto sfratto; il 68% delle famiglie taglia la spesa alimentare; oltre 3 milioni di bambini non hanno letto un libro nell’ultimo anno; solo il 6% dei bambini gioca libero in strada e il 25% in cortile. Ma c’è chi reagisce: avanza la “generazione parkour” e nascono le prime scuole “open space”.
Le città e le metropoli sono l’habitat prevalente dei bambini e adolescenti in Italia: il 37% di essi – 3 milioni e 700 mila – si concentra nel 16,6% del territorio nazionale, cioè nei grandi centri urbani o nelle aree circostanti. Città più matrigne che materne, invase di macchine e pericolose – tanto che solo il 6,4% di bambini gioca libero per strada –  e spesso prive di spazi per garantire lo svago dei più piccoli: solo 1 bambino su 4 gioca in media nei cortili e meno di 4 su 10 nei giardini, con significative differenze territoriali.
Ma per un certo numero di bambini, la disponibilità di luoghi di vita e gioco accettabili non c’è neanche in casa: quasi 1 minore su 4 vive in famiglie che dichiarano di abitare in appartamenti umidi o con tracce di muffa alle pareti e sono 1 milione e 300 mila i minori le cui famiglie denunciano situazioni di sovraffollamento, in un paese nel quale anno dopo anno cresce l’emergenza abitativa: nel 2013 sono ben 65 mila i nuclei familiari (molti dei quali con bambini) ad aver ricevuto un’ingiunzione di  sfratto per morosità incolpevole (+8,3% rispetto all’anno precedente).
D’altra parte, come indicano i dati sui consumi, la povertà assoluta delle famiglie è cresciuta ulteriormente nel 2014 e riguarda ormai il 13,8% dei minori – oltre un milione e 400 mila tra bambini e ragazzi (con un incremento del 37% di minori interessati dal fenomeno rispetto al 2013) – mentre più del 68% delle famiglie sono costrette a tagliare sugli alimenti o a comprare cibo di qualità inferiore.
Ma la povertà dei minori in Italia non è solo materiale. 3 milioni 200 mila bambini e ragazzi tra 6 e 17 anni (il 47,9% del gruppo di età) non hanno letto un libro nel 2013 e circa 4 milioni (il 60,8%) non hanno visitato una mostra o un museo. Non viaggia né si apre a nuovi mondi e persone il 51,6% di under 18 che vive in famiglie che non possono permettersi nemmeno una settimana di ferie l’anno lontano da casa. Lo sport grande assente nei pomeriggi del 53,7% degli adolescenti (15-18 anni), che non fanno alcuna attività motoria continuativa nel tempo libero. 
Pomeriggi non occupati neanche da attività scolastiche, dato che, nella migliore delle ipotesi, il tempo pieno c’è solo nel 50% delle scuole elementari e medie di alcune regioni, con picchi in negativo in regioni quali Campania (con il 6,5% delle scuole primarie a tempo pieno) o Calabria.
Gli orizzonti a disposizione dei nostri bambini sono sempre più chiusi: si riducono gli spazi di autonomia, socialità, svago, e si riducono gli spazi mentali, le opportunità di formazione e crescita intellettuale e relazionale, sospingendo sempre più bambini ai margini. E’ sotto gli occhi di tutti il disagio di tante “periferie”: luoghi deprivati di verde, spazi comuni, trasporti efficienti, scuole a tempo pieno e sempre più popolati da giovani coppie con bambini. Le periferie dei nostri giorni sono le nuove città dei bambini.  Da qui dobbiamo cominciare se vogliamo riaprire spazi di futuro e opportunità per l’infanzia nel nostro paese”, “inoltre pratiche coraggiose e innovative che dimostrano che riaprire gli orizzonti dei minori e delle loro famiglie non solo è possibile ma è già a portata di mano. Esperienze come quelle delle scuole che hanno deciso di condividere i propri cortili con il quartiere, a Torino, o dei ragazzi che sfidano gli spazi cittadini facendo parkour a Roma o in altre città. Un cambiamento reale è possibile ad esempio umanizzando i percorsi nascita, realizzando più servizi per la prima infanzia, aprendo e rinnovando le scuole, intervenendo nelle periferie con nuove opportunità sociali e culturali, ripensando l’utilizzo degli spazi pubblici. Sono esempi positivi ma che per produrre cambiamenti tangibili debbono essere replicati su vasta scala e andare di pari passo con un’azione determinata da parte del Governo per aggredire le gravi povertà sociali ed educative che affliggono milioni di minori”.
“Per rispondere concretamente all’avanzare della povertà educativa, soprattutto nelle periferie urbane, si tratta di spazi ad alta densità educativa in zone prive di servizi e opportunità, dove bambini e adolescenti possono studiare, giocare, avere accesso ad attività sportive, culturali e creative. Inoltre i minori in condizioni accertate di povertà, vengono sostenuti da una dote educativa, un piano formativo personalizzato che consente ad esempio l’acquisto di libri e materiale scolastico, l’iscrizione a un corso di musica o sportivo, la partecipazione ad un campo estivo o altre attività educative individuate sulla base anche delle inclinazioni del singolo bambino. 
E’ necessario e urgente varare un piano nazionale di contrasto della povertà minorile, che preveda, tra l’altro, l’estensione della cosiddetta nuova social card, ora sperimentata solo in poche città, a tutte le famiglie in povertà assoluta con minori, semplificando i criteri di accesso e rafforzando le misure di accompagnamento e valutazione. Allo stesso tempo vanno previsti interventi mirati per le aree più deprivate sul piano dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza e delle opportunità educative. Per le periferie urbane più carenti, dove vivono moltissimi bambini, proponiamo di attivare “aree ad alta densità educativa”, sul modello francese delle Zones d’Education Prioritaires, all’interno delle quali garantire un forte rafforzamento delle offerte educative, scolastiche ed extrascolastiche,  valorizzando le risorse locali e mobilitando fondi europei”.
Bambini metropolitani. Una popolazione complessiva di poco più di un milione e mezzo di bambini, pari al 16,1% dei minori italiani, vive sparpagliata nel 70,3% dei comuni italiani, mentre il rimanente 84% risiede in 2400 centri di taglia superiore. Guardando meglio si scopre poi che il 37% di tutti i minori italiani (3 milioni e 700 mila bambini e adolescenti) vive concentrata nel 16,6% del territorio nazionale – la superficie delle istituende città metropolitane -, e che 1 milione e mezzo di bambini crescono all’interno degli 11 grandi centri urbani con una popolazioni superiore ai 250 mila abitanti: metropoli come Roma, in testa alla classifica per numerosità totale con quasi mezzo milione di minori, o come Napoli, Milano e Torino, dove si incontrano più di mille bambini per chilometro quadrato.
La strada delle preoccupazioni: 10 milioni di minori, 37 milioni di macchine. L’esplosione automobilistica degli ultimi decenni – con oggi 37 milioni di macchine  per 10 milioni di minori – ha cambiato radicalmente le abitudini delle famiglie e il rapporto con gli spazi e i tempi della vita quotidiana. La strada si è fatta luogo di transito delle preoccupazioni dei genitori e ha perso la sua vocazione naturale di luogo di incontro, apprendimento e gioco, avventura e conoscenza.
In media, tra i bambini 3 – 10 anni, solo 6 su 100 la utilizzano per giocare (6,4%), con picchi in Umbria (14%) e Trentino, e deserti ludici nel Lazio (2,5%), in Liguria, Piemonte e Campania. Ma anche i cortili condominiali sono uno spazio di gioco solo per il 25,5% dei bambini (3-10 anni) con maggiore fortuna per i bambini dell’Emilia Romagna (39,2%) e il picco in negativo della Basilicata (11,2%). Per non parlare dei prati o campi, spazi ludici solo per un 14,2% di fortunati, che diventano ben il 41,2% nella provincia di Bolzano per assottigliarsi a uno sparuto 3,9% in Sicilia.
I parchi pubblici restano lo spazio di gioco più frequentato (dal 38,4%) dai minori nella fascia di età 3-10 anni, con, tuttavia, grandi differenze territoriali: mentre al Nord e al Centro vi fanno ricorso in media più di 2 bambini su 3 (e in quasi tutte le regioni del Nord più di 1 bambino su 2), al Sud, dove l’offerta di spazi attrezzati è sensibilmente ridotta, la fruizione dei giardini scende al 16% e sale al 12% la percentuale di bambini che gioca nei vicoli.
Stanze poco accoglienti e precarie. Circa 700 mila bambini e ragazzi vivono in famiglie che dichiarano il loro appartamento poco luminoso, 1 milione e 300 mila in famiglie che denunciano situazioni di sovraffollamento, carenza di servizi e problemi strutturali, 2 milioni e 200 mila minori – quasi uno su quattro – in nuclei familiari che dichiarano di abitare appartamenti umidi, con tracce di muffa alle pareti e soffitti che gocciolano.
Nel 2013, 65.302 famiglie (+8,3% rispetto al 2012) hanno ricevuto l’ingiunzione di sfratto per morosità e 31.000 sono stati gli sfratti effettivamente eseguiti.
I disconnessi culturali. I dati sulla partecipazione dei bambini e dei ragazzi italiani ad alcune attività culturali sono poco incoraggianti: quasi 5 minori 6-17 anni su 10 non hanno mai letto un libro durante l’anno (47,9%), 6 su 10 non sono stati in un museo (60,8%), 7 su 10 non hanno visitato un’area archeologica (73,7%) e non sono andati a teatro (72,1%), più di 8 su 10 non hanno ascoltato un concerto (84,9%). Grandi sono anche in questo caso i divari territoriali: ad esempio, la percentuale dei minori che non leggono oscilla dal 69,5 della Calabria al 25,7% del Trentino.
L’avanzata delle povertà. La deprivazione culturale va di pari passo con quella economica: 1 milione 434.000 (pari al 13,8% del totale dei minori) sono gli under 18 in povertà assoluta, quindi addirittura privi del necessario per vivere un vita quotidiana dignitosa. Di essi 376 mila minori  (67 mila bambini fino a sei anni e 309 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 17 anni) si sono aggiunti nel solo 2013, in particolare nel Mezzogiorno dove la percentuale di minori in povertà assoluta sale in media al 19%, con punte in Calabria (29%), Sicilia (24,7%), Sardegna (22,2%), Puglia (18,2%).
2 milioni 400 mila sono invece i minori (quasi 1 su 4, per l’esattezza il 23%)in povertà relativa, cioè in famiglie con un reddito molto basso e quindi costrette a tagliare dove possibile, diminuendo la qualità e quantità di cibo, per esempio (il 68,9% di nuclei con bambini è in questa situazione), o rinunciando a viaggicultura, sportsvaghi. Non si permettono mai un viaggio e una vacanza lontano da casa il 51,6% di famiglie con almeno 1 minore, a fronte del 40% nel 2010. Fanno sport  solo  il 46,3% di adolescenti, in particolare le ragazze praticano sport molto meno dei maschi (40,1% contro 50,7%), con picchi di inattività soprattutto nel Mezzogiorno (dove la percentuale di teen ager inattivi schizza in avanti di 22 punti percentuali).
L’arretramento dei servizi per la prima infanzia. Nell’anno scolastico 2012/2013 soltanto 13,5 bambini tra 0 e 2 anni su 100 frequentavano i nidi pubblici e convenzionati. Nonostante il varo di un Piano Straordinario nel 2007, interrotto poi bruscamente nel 2010, negli ultimi 10 anni in Italia l’indicatore di presa in carico è aumentato di appena 2 punti percentuali, rimane lontano dall’obiettivo europeo del 33%, e continua a presentare fortissime disparità territoriali tra Nord e Sud del paese. Non solo. Negli ultimi due anni si osserva una leggera flessione dei bambini che frequentano i nidi comunali e gli altri servizi integrativi, imputabile in parte alle difficoltà dei comuni a garantire i servizi in tempi di tagli ai bilanci, in parte alle difficili condizioni economiche delle famiglie durante la crisi.
Scuole a “tempo limitato” e scuole open spaces. Anche la scuola fa acqua da molte parti, documenta il 5°Atlante dell’Infanzia. Il 70% degli edifici ha più di 30 anni e il 43% bisognoso di interventi di natura edilizia6 ai problemi strutturali si aggiungono fattori come l’invecchiamento, la precarizzazione e ibassi livelli di formazione e di valutazione del corpo docente, i cui standard di perfezionamento e di formazione continua sono inferiori di oltre 10 punti ai loro colleghi europei. Altro fattore determinante è la limitazione del tempo scuola: in nessuna delle regioni italiane le scuole primarie e medie a tempo pieno superano il 50%; per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, l’unica regione a superare la soglia del 40% è la Basilicata, mentre in ben 6 regioni la percentuale di copertura scende sotto il 15%.
Un insieme di cose che spiega, almeno in parte, le basse competenze di tanti studenti italiani nei programmi di valutazione internazionali e gli alti livelli di dispersione scolastica: ben il 17% degli studenti interrompe il percorso scolastico fermandosi al diploma della scuola media. Una delle percentuali più alte d’Europa, con indici superiori solo per la Grecia (23%), Malta (21%), Portogallo (19%) e Romania (18%).
L’ inadeguatezza del nostro sistema scolastico è il frutto di anni di disattenzione e briciole di investimenti che ci hanno posizionato in coda all’Europa in quanto a spesa pubblica per l’istruzione, negli ultimi mesi sono giunti dal governo segnali  positivi in questo ambito cruciale, ma tutti quanti dobbiamo aumentare gli sforzi affinché la più importante infrastruttura sociale del nostro paese torni ad essere  un punto di riferimento solido anche per i bambini e le famiglie in condizione di particolare disagio”, si chiede inoltre al governo e alle istituzioni di varare interventi e politiche in grado di aumentare l’offerta dei consumi educativi, rendendo accessibili a tutti spazi e opportunità sportive, culturali e di svago. Una potente iniezione di stimoli culturali in aree che ne sono sprovviste, può aprire prospettive nuove nella vita dei ragazzi, come ci raccontano loro stessi nell’Atlante. Seguiamo l’esempio della “generazione parkour” che non si arrende allo squallore metropolitano”

Povertà in Italia: il tema discusso al Forum sulle Politiche Sociali


“Viviamo in una società in cui non tutti hanno le stesse opportunità e bisogna pensare che il mondo è fatto in una maniera diversa”, dichiara il Ministro Poletti. “Partire dai più poveri per arrivare a tutti”, afferma Cristiano Gori, docente Università Cattolica di Milano.
Si è tenuto ieri a Milano nell’ambito del Quarto Forum sulle Politiche Sociali, l’incontro per ‘una strategia nazionale contro le povertà’. Più volte noi di Piattaforma Infanzia ci siamo occupati del tema ‘povertà’ e di come questa abbia coinvolto migliaia di italiani, compresi i bambini. Ricordiamo che nel nostro paese il numero di minori in stato di povertà assoluta nel 2013, arriva a sfiorare 1.434mila unità e che è stato dimostrato, dai dati delle statistiche ufficiali, come tale condizione porti a conseguenze quali l’esclusione sociale e l’abbandono scolastico. Nuove strategie nazionali per il contrasto al fenomeno della povertà sono necessarie e proprio ieri, alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, si è discusso il tema, lanciando proposte di miglioramento.
L’Alleanza contro la povertà oggi ci porta a dover costruire un pensiero che deve essere scisso dalla ripresa economica, questa da sola non basta. C’è da fare qualcosa di diverso per affrontare al meglio il tema e includere anche il problema dell’emarginazione, dei diritti, dei bisogni. Viviamo in una società in cui non tutti hanno le stesse opportunità e bisogna pensare che il mondo è fatto in una maniera diversa”, dichiara il Ministro Poletti.
Sono necessarie politiche che siano capaci di “giocare questa partita e per quanto riguarda il governo, posso dire che oggi ci sia davvero la possibilità di aprire una discussione”, continua Poletti, sottolineando che l’Alleanza contro la povertàconsegna un’opportunità reale, quella di mettere insieme più mondi che condividono la responsabilità di avanzare una proposta. Mettere le istituzione in grado di affrontare in maniera dinamica una discussione risolutiva sulla povertà è l’obiettivo del ministro, che attraverso una strategia nazionale di inclusione, individua la strada da seguire.
Il percorso attuativo avvia il Reddito d’Inclusione Sociale come misura di sostentamento da introdurre gradualmente, lungo un cammino articolato in quattro annualità e rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta, insieme ad una serie di strumenti che lo Stato, in collaborazione con le Regioni fornisce ai soggetti del territorio per metterli in condizione di operare al meglio. Si parla di un sistema di monitoraggio e valutazione che sia in grado di comprendere ciò che accade nelle varie realtà locali, esaminarle e trarne indicazioni operative utili al miglioramento, includendo quindi il territorio, l’associazionismo e i cittadini stessi.
Assegnare finanziamenti adeguati, definire i diritti di accesso delle persone che necessitano e mettere a sistema la creatività locale”, sono questi i punti sottolineati da Cristiano Gori, docente di politica sociale all’Università Cattolica di Milano, che dichiara anche come il 9,9% della popolazione, ovvero la fascia più povera del nostro paese, quella che non raggiunge neanche uno standard minimo accettabile, sia la prima cui destinare le risorse. “Bisogna partire dai più poveri fino ad arrivare a tutti coloro in difficoltà”, questa la strategia che deve applicare la politica italiana, uno dei pochi paesi in Europa che non ha un piano di contrasto alla povertà.

giovedì 24 settembre 2015

Veneto e bullismo. I più colpiti sono gli adolescenti. Dilaga il fenomeno tra le ragazze

Veneto e bullismo. I più colpiti sono gli adolescenti. Dilaga il fenomeno tra le ragazze

Su 15.268 ragazzi intervistati dal portale Skuola.net per conto della Polizia di Stato, nell’ambito della campagna educativa itinerante “Una vita da social” della Polizia Postale e delle Comunicazioni, ben 1 su 3 si è dichiarato vittima di episodi di bullismo. La fascia d’età più esposta si conferma quella compresa tra i 14 ed i 17 anni, dove i “bullizzati” sono quasi 2 su 5. La ricerca certifica anche la crescita di bulli in rosa: 1 vittima su 3 denuncia la presenza femminile tra gli aggressori. Il fenomeno è costantemente monitorato dagli uomini del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni per il Veneto più volte impegnati in delicate indagini riguardanti i “cyberbulli”.
Preoccupa soprattutto l’associazione del bullismo a fenomeni di razzismo ed intolleranza. Significativa è in tal senso l’investigazione compiuta nel corso dello scorso anno che ha permesso di eliminare dal noto social network “Facebook” una pagina fortemente denigratoria nei confronti di una ragazzina di origini straniere che aveva raggiunto in pochi giorni decine e decine di “followers”. A preoccupare sono anche le vicende legate al cosiddetto “sexting” che qualche volta si sovrappongono ai fenomeni di bullismo. Il sexting, acronimo anglosassone tra le parole “sex” e “texting” (messaggiare), è definibile come la pratica di inviare attraverso sistemi di messaggistica istantanea foto sessualmente esplicite di se stessi. Come è noto, non infrequentemente i contenuti di un “selfie” hot giungono nelle mani dell’interlocutore sbagliato, con esiti sicuramente non trascurabili, specie quando sono coinvolti dei minori. Ancora più preoccupante sono quei casi nei quali il fenomeno viene a sovrapporsi al bullismo. Ed è così che nel cerchio ristretto delle amicizie del minore la foto sexy divulgata per errore o per dolo diviene il pretesto per l’emarginazione di un minore da parte del gruppo. Ad oggi sono ben 10 i casi di diffusione di materiale multimediale sessualmente esplicito riconducibile ad un minore registrati nel Veneto. Ed alcune volte la vicenda, già spinosa di per sé, prende le tinte fosche del bullismo. Addirittura in qualche caso si è verificata la creazione di una pagina sul social network Facebook avente come titolo “una botta e via…” con pubblicate le foto hot in questione.
Veneto e bullismo. I più colpiti sono gli adolescenti. Dilaga il fenomeno tra le ragazzeÈ per questo che, oltre alla repressione, è essenziale l’attività di prevenzione volta ad insegnare un uso consapevole e sicuro delle nuove tecnologie ai minori. Attività che vede già coinvolta la Polizia di Stato e, segnatamente, la Polizia Postale e delle Comunicazioni in tutto il territorio Veneto. Ben 1421 studenti sono stati incontrati dagli operatori della Postale in provincia di Venezia, oltre a centinaia tra genitori ed insegnanti. Mentre sono più di 5000 gli studenti incontrati tra Padova, Rovigo, Treviso, Vicenza e Belluno.

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Bullismo, denunciati 8 studenti che perseguitavano i compagni sul bus


L’ultimo episodio di bullismo riguarda stavolta un gruppo di studenti di Modigliana (Forlì-Cesena), umiliati, malmenati e minacciati praticamente all’ordine del giorno sull’autobus che li trasportava fra casa e scuola, a Faenza. Un viaggio del terrore durante il quale le vittime prese di mira venivano obbligati a viaggiare in piedi, a dare testate contro i finestrini nel tentativo di bloccare una monetina, a ripulire i vetri sporchi di sputi, a camminare lungo il corridoio con addosso numerosi giubbotti. Azioni odiose e dure da sopportare, che i teppistelli di turno – una volta finiti nel mirino delle forze dell’ordine – hanno riduttivamente definito «scherzi», minizzando su quelli che sono stati invece dei veri e propri atti di bullismo a cui le vittime – sei studenti, tutti matricole – erano sottoposte dall’inizio dell’anno scolastico. I persecutori, invece, sono otto “colleghi” (di cui 7 sono minori), tutti puntualmente denunciati.

Le vittime e i carnefici

Si tratta di un diciottenne, di cinque ragazzi di 17 anni e di due di 16, che in base agli accertamenti dei Carabinieri dovranno rispondere di atti persecutori e violenza privata in concorso. Una violenza, quella deli bulli, taciuta dalle loro vittime per paura, per vergogna, nella speranza di una fine imminente che, però, tardava ad arrivare e che forse non sarebbe mai arrivata se, a far partire le indagini, non fossero intervenute le segnalazioni di alcuni genitori de i ragazzini presi di mira e assoggettati dalla gang, allertati dallo strano comportamento dei figli che si espletava, a seconda dei casi, con la perdita del sonno ed evidenti timori ad andare a scuola. Sono così scattati i controlli dei carabinieri in borghese del comando forlivese, che hanno potuto verificare come gli otto bulli avessero trasformato l’autobus nel luogo delle loro quotidiane angherie, inflitte nei confrotni di ragazzi più giovani e decisamente più per bene.