domenica 27 ottobre 2013

16enne picchiata da un branco di 30 coetanei

Aggredita e picchiata per una battuta di troppo: è quanto è successo a una ragazza di 16 anni presa a calci e pugni da un gruppo di 15enni a Cinisello Balsamo (Milano). L'adolescente ha riportato contusioni giudicate guaribili in 10 giorni. 
Il motivo del pestaggio sarebbe una battuta che la ragazza ha rivolto al gruppo. Il pestaggio è avvenuto alle 17.30 dell'11 ottobre, quando la vittima è stata circondata da 25-30 quindicenni (in larghissima parte ragazze). Di queste, 5 sono state denunciate dalla polizia per lesioni, percosse, violenza privata, ingiurie e minacce; mentre altri tre 15enni (una femmina e due maschi gemelli) sono stati denunciati per ingiurie, minacce e violenza privata.

condannato per violenza sessuale su una minore


Diventa definitiva la sentenza per pedofilia a carico di un cinquantenne del Vastese. E' di quattro anni e tre mesi da scontare in carcere la pena confermata venerdì sera dalla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'appello dell'Aquila a dicembre 2012 nei confronti di un uomo accusato di violenza sessuale su una ragazzina di soli 13 anni. 

La vicenda venne scoperta per caso a gennaio 2011 da una insegnante della giovane vittima. La ragazzina raccontò il tormento vissuto su un tema scolastico. Per l'insegnante su come ricevere un pugo nello stomaco. La rivelazione, letta con incredulità e sgomento dalla docente fece scattare l'inchiesta. 

Ascoltata da assistenti sociali, magistrati e forze dell'ordine la ragazzina ha ripetuto più volte il proprio tormento: un crescendo di abusi subiti, la paura e la decisione di chiedere aiuto alla propria insegnante, una persona di cui si fidava. Un pool di psichiatri e psicologi ha ritenuto attendibili le rivelazioni dell'adolescente.

A marzo 2012 il giudice del Tribunale di Vasto Anna Rosa Capuozzo ha condannato in primo grado il cinquantenne al termine del processo celebrato a porte chiuse per assicurare l'anonimato della giovane vittima. I genitori e la ragazzina si sono costituiti parte civile attraverso l'avvocato Angela Pennetta. 

L'uomo è stato arrestato e condotto in carcere. Otto mesi fa i giudici della Corte d'appello dell'Aquila,(Cirillo, Tascone e Flamminio) hanno confermato la condanna. Lo stesso hanno ha fatto venerdì i magistrati della Corte di Cassazione. La sentenza a questo punto diventa definitiva. Fondamentale è stato l'esito dell'incidente probatorio e il materiale raccolto dai carabinieri subito dopo la denuncia della studentessa. Il materiale ha convinto i giudici della colpevolezza dell'accusato. A distanza di due anni dalla denuncia l'avvocato delle famiglia della ragazzina assicura che studentessa, ora quindicenne, dopo le cure di uno psicologo sta molto meglio.

Pedofilia, in Calabria 2mila casi ogni anno

"In Calabria, secondo i dati Istat del 2011, ci sono circa duemila casi l'anno di molestie e di violenze sessuali in danno dei minori : purtroppo non abbiamo notizie di interventi reali e concreti da parte dell'ufficio del Garante per l'Infanzia". Lo afferma, in una nota, Maria Locanto, segretario dell'associazione Peter Pan Onlus che si occupa di prevenzione e lotta alla pedofilia. "La Regione Calabria - dice Locanto- si e' data una legislazione efficace e ante litteram prima ancora di quella nazionale, per quant,o a nostro avviso incostituzionale, proprio nella parte dei requisiti per il ruolo di Garant . Sono state attivate misure positive dalla giunta Scopelliti per l'infanzia e il Consiglio regionale dovrebbe approvare a breve la proposta di legge dell'on Chiappetta per dare maggiore sostanza alle azioni di efficacia. Cio' nonostante- prosegue Locanto - gli interventi di assistenza alle famiglie, con ipotesi di accordi quadro con le Asp per il recupero psicoterapico delle vittime e delle famiglie , non risultano essere mai stati portati avanti dall'Ufficio del Garante, cosi' come non e' stata attivata alcuna campagna preventiva di massa sui rischi della pedopornografia web. E' necessario modificare questo stato di cose - conclude Locanto - considerando che, come accade in tutta Italia, la percentuale di denunce dei misfatti non supera il 5%: una realta' assai triste rispetto alla quale ci appelliamo al buonsenso e alla sensibilita' del presidente Talarico".

Padre rinviato a giudizio per pedofilia

Padre rinviato a giudizio per pedofilia
Padre rinviato a giudizio per pedofilia
Padre rinviato a giudizio per pedofilia

Dopo l'udienza preliminare del 24 ottobre 2013, il tribunale ha rinviato a giudizio il padre accusato di pedofilia fissando l'udienza per il 12 marzo 2014 collegio C. La vicenda era salita all'onore delle cronache perché una psicologa e un'assistente sociale del Consultorio di Piazzola sul Brenta avevano costretto il bambino a continuare a vedere il padre, malgrado le accuse di abusi. E avevano persino prospettato alla madre che "se il figlio non avesse incontrato il padre l'alternativa sarebbe stata l'allontanamento dalla famiglia". Dopo il recente rinvio a giudizio la situazione delle due professioniste, che il 9 giugno erano state querelate dell'avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena "a causa del loro comportamento lesivo, pregiudizievole e dannoso" verso il figlio della sua assistita, si complica ulteriormente.
In seguito alla decisione del tribunale, Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, che da anni si batte contro gli abusi giudiziari nei confronti dei minori generate dalla discrezionalità delle perizie psichiatriche e delle valutazioni psicologiche, ha annunciato che si presenterà come parte civile nell'eventuale procedimento contro le due professioniste. "Questa è l'ennesima dimostrazione che l'incontro tra psicologia/psichiatria e giustizia può causare dei danni indicibili, come nel caso di questo bambino costretto a vedere il suo presunto carnefice sulla base di astratte teorie psicologiche. È nostro dovere riportare la giustizia sui binari corretti!" ha affermato Silvio De Fanti, Vicepresidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani. "Nel recente convegno di Milano 'Psichiatria e distorsione della Giustizia', organizzato dal CCDU e dalla sezione italiana della LIDU - Lega Internazionale per i Diritti dell'Uomo, infatti, il prof. Morris Ghezzi, ordinario di Filosofia e Sociologia del Diritto all'Università degli Studi di Milano, ha sostenuto che il giudice non è più peritus peritorium - esperto degli esperti, che ascolta i pareri dei periti ma poi si riserva di fare una valutazione indipendente - ma ha ceduto la funzione di controllo sociale alla medicina, e alla psichiatria in particolare."
"Mi auguro che questo contribuisca a chiarire la situazione affinché a questo bambino venga restituita un po' di serenità visto che fino adesso per le decisioni del Tribunale per i Minorenni di Venezia e del servizio sociale di Piazzola, ha dovuto incontrare quel papà rinviato a giudizio per abusi sessuali come se niente fosse. Certo che ci riserveremo in tutte le sedi di denunciare quei giudici che nonostante tutto hanno contribuito ad aggravare la situazione psicofisica di questo bambino." ha commentato l'avvocato Francesco Miraglia, legale della mamma.


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sabato 19 ottobre 2013

dedicato alle vittime: l'anima vola - Elisa


L'Anima Vola
Le basta solo un po' d'aria nuova
Se mi guardi negli occhi
Cercami il cuore
Non perderti nei suoi riflessi
Non mi comprare niente
Sorriderò se ti accorgi di me fra la gente
Sì che è importante
Che io sia per te in ogni posto
In ogni caso quella di sempre
Un bacio è come il vento
Quando arriva piano però muove tutto quanto
E un'anima forte che sa stare sola
Quando ti cerca è soltanto perché lei ti vuole ancora
E se ti cerca è soltanto perché
L'Anima osa
E' lei che si perde
Poi si ritrova
E come balla
Quando si accorge che sei lì a guardarla
Non mi portare niente
Mi basta fermare insieme a te un istante
E se mi riesce
Poi ti saprò riconoscere anche tra mille tempeste
Un bacio è come il vento
Quando soffia piano però muove tutto quanto
E un'anima forte che non ha paura
Quando ti cerca è soltanto perché lei ti vuole ancora
Quando ti cerca è soltanto perché lei ti vuole ancora
E se ti cerca è soltanto perché
L'Anima Vola
Mica si perde
L'Anima Vola
Non si nasconde
L'Anima Vola
Cosa le serve
L'Anima Vola
Mica si spegne

Condannato a 7 anni sindaco della provincia di Rimini


Il sindaco di Casteldelci in provincia di Rimini, Mario Fortini, è stato condannato in primo grado a 7 anni di reclusione per i presunti abusi sessuali a danno di sua parente minorenne e per detenzione di materiale pedopornografico. Il processo si è tenuto la scorsa settimana con il rito abbreviato e il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Bologna, Bruno Perla ha di fatto accolto le richieste del pubblico ministero Simone Purgato. Il primo cittadino del comune in Val Marecchia, tuttora sospeso dalla carica perché agli arresti domiciliari (è ospite in una comunità), è ancora però formalmente alla guida del Comune che conta appena 450 abitanti ed è il più a sud dell’Emilia Romagna. Tra le pene accessorie c’è anche quella dell’interdizione dai pubblici uffici.
A dicembre 2012 i carabinieri avevano arrestato Fortini al termine di una indagine iniziata nell’agosto dello stesso anno. Tutto era partito dalla denuncia di abusi sessuali subiti da una bimba, parente di Fortini, da quando questa aveva 4-5 anni fino ai 15 anni. Dal lavoro degli uomini dell’Arma era emerso che la minore per circa dieci anni era stata costretta a subire atti sessuali all’interno della casa di Fortini e qualche volta anche all’aperto. L’indagine era stata inizialmente seguita dalla procura della repubblica di Rimini, ma poi a settembre 2012, dopo le perquisizioni nell’abitazione e negli stessi uffici del municipio, era stato rinvenuto materiale pedopornografico. La competenza per quel tipo di reato a quel punto è passata alla procura distrettuale, cioè a quella di Bologna.
Nell’estate del 2012 Fortini – che si è sempre strenuamente difeso dalle accuse fino al punto di decidere di non dimettersi – si era separato dalla moglie, che ha una figlia avuta da una precedente relazione. Nel corso delle indagini, dopo la perquisizione dei carabinieri del 6 settembre, aveva scritto sulla sua pagina Facebook: “Scuse e malversazioni ignobili e false tutto frutto di una bruttissima separazione da mia moglie. Non sono un tipo che molla, soprattutto quando mi sento perfettamente a posto con la mia coscienza, ma sono anche determinato a non farmi calpestare. Ho piena fiducia nella giustizia. Serenità totale”. E poi, di fronte al paesino sotto choc, il primo cittadino aveva ribadito ancora: “Se questa deve essere una croce la porteremo con serenità, ma auguro a chi me l’ha tirata la stessa situazione”.
“Attendiamo le motivazioni della sentenza e valuteremo se e come fare appello”, ha detto Antonio Zavoli, avvocato di Fortini.

Compra la moglie per 8mila euro e la riduce in schiavitù Marito violento condannato


Farà dieci anni di galera, se lo trovano, Ben Salah Tabai Mongi, un tunisino di 47 anni in Italia da moltissimo tempo, di professione cercatore di merce nelle discariche pizzaiolo, colpevole di reati aberranti contro la moglie, costretta a rapporti sessuali, picchiata, ridotta in schiavitù. Questo pomeriggio il collegio giudicante del tribunale di Cremona, composto dal presidente Pierpaolo Beluzzi e dai giudici a latere Andre Milesi e Francesco Sora, hanno ascoltato le tesi del pm Silvia Bonardi.
Il pm ha raccontato una storia aberrante: "Partiamo dal 2000, quando Tabai Mongi va in Tunisia e compra moglie. Versa 8000 euro al padre della donna, la quale in patria lavorava come fisioterapista, e la porta in Italia, dopo aver raccontato a lei e alla sua famiglia di essere titolare di una pizzeria e di possedere una casa. La realtà è diversa e amarissima: qui l'uomo fa il pizzaiolo saltuariamente e sopravvive andando di discarica in discarica a cercare materiale da rivendere. La sua idea è quella di farsi dare una mano dalla moglie. Ma c'è ben altro, perché la donna quando arriva si rende conto che qualcosa non funziona, fino a scoprire che il marito è già sposato con una donna italiana e che i tre staranno sotto lo stesso tetto. ma le aberrazioni non finiscono qui. L'uomo la maltratta e la picchia spesso, costringendola a rapporti sessuali, facendola dormire su un materasso in cucina, mentre lui è in camera con la moglie, obbligandola ad assistere ai rapporti sessuale con l'italiana. E quando lei si ribella, sono botte, minacce e altri soprusi ancora. Fin tanto che lei non finisce in ospedale nel 2007 e comincia a raccontare la sua storia di dolore. Qualcuno la convince a presentare denuncia e da lì parte la sua resurrezione. Se ne va dal marito, arriva a Cremona dove apre un negoziato di articoli usati. Ma il marito la rintraccia, la minaccia, la segue, tanto da guadagnarsi una nuova denuncia per stalking".
Al termine della sua arringa il pm chiede nove anni di reclusione per l'uomo, sostenuta dall'avvocato Guido Priori, che tiene la parte civile e che chiede un adeguato risarcimento per la vitti,a, mentre di parere opposto è l'avvocato Michele Tolomini, arrivato alla difesa del tunisini da pochissimo, causa rinuncia del difensore di fiducia. Il collegio ha deciso per una condanna severa ed esemplare: il tunisino farà dieci anni di galera. Se lo trovano.

Adescata su facebook e rapita Il sequestratore è recidivo Sua moglie era scappata con lui


«Voglio andarmene da casa». Il caso della dodicenne di Isorella (Brescia) adescata via Facebook da un uomo con il doppio dei suoi anni e condotta in auto, mercoledì, in un ostello di Lugano sarebbe stato originato da questa frase postata sul social network cinque mesi fa dalla studentessa bresciana. Un appello lanciato in rete da un’adolescente e raccolto on line da una 23enne luganese che vive a 200 chilometri da Brescia. Una donna al settimo mese di gravidanza, la stessa finita in manette con l’accusa di sequestro e di rapimento in concorso, che avrebbe raccontato dei disagi della ragazzina a una sua amica stretta – la moglie del 26enne del Canton Ticino arrestato il 9 ottobre - e al consorte.
È questa, stando al giornale Ticinonews, la chiave di volta della vicenda, al vaglio della magistratura elvetica e del procuratore aggiunto di Brescia Sandro Raimondi. Marito e moglie si sarebbero invaghiti a tal punto dell’idea di «salvare» la giovanissima dal suo destino di guai adolescenziali che avrebbero architettato un piano per portarla in Ticino. Agli amici avrebbero raccontato di essersi messi in testa di adottarla, e per questo si sarebbero recati più volte insieme a Isorella, senza riuscire a combinare granché. Il proposito sarebbe andato a buon fine il 9 ottobre, quando il 26enne ha prelevato la studentessa prima che entrasse in classe.
L’inverosimile vicenda è al vaglio degli inquirenti, che non escludono alcuna ipotesi – a cominciare dalla pedofilia – anche se in base agli ultimi sviluppi sfumerebbe la pista di un network internazionale. I sospetti si concentrano sul nucleo familiare del 26enne arrestato. La 23enne fermata lunedì – oggi il giudice dei provvedimenti coercitivi deciderà se confermare l’arresto – è un’amica intima dei coniugi.
Stando a Ticinonews, la coppia ha alle spalle una coincidenza significativa: avrebbe convolato a nozze dopo un presunto rapimento nel 2008 da parte dell’impiegato di colei che in seguito è diventata sua moglie, ma che all’epoca aveva solo 16 anni. I genitori denunciarono la scomparsa della figlia ma lei negò: «Non mi ha rapita, io volevo fuggire con lui». A offrire conferme o smentite saranno anche il computer e lo smartphone sotto sequestro, un regalo, quest’ultimo, del 26enne elvetico all’amica virtuale per agevolare i contatti. La Procura di Brescia ha chiesto a un tecnico di ricostruire le comunicazioni tra la ragazzina di Isorella e i presunti sequestratori.

Le Iene e il figlio del prete pedofilo: Una raccapricciante storia da Ferrara. Erik racconta lo stupro della mamma subito all'età di 14 anni


«Mamma, ho bisogno che mi spieghi esattamente una cosa. Cosa è successo quando sei rimasta incinta di me. E lei disse: ‘Sono stata violentata da don Pietro. Sono stata minacciata. Siamo stati sfrattati. Mi hanno tolto la voglia di vivere’». E’ la dichiarazione shock resa alle Iene da Erik Zattoni, un ragazzo che, da quando ha saputo di essere figlio di uno stupro, sta cercando giustizia per sè e per sua madre Cinzia. Nel 1980, all’età di 14 anni, la donna avrebbe subito uno stupro da parte di un prete, autore quindi – spiega il ragazzo alle telecamere di Italiauno – un atto di pedofilia, considerando che l’uomo aveva 54 anni.

prete pedofilo iene 2

IL RACCONTO DEL FIGLIO – «Ha abusato di lei violentemente – raccontaErik -. Lei non ha mai detto all’inizio quanto fosse successo perché ha ricevuto minacce da questo prete. Lui ha detto: ‘Se parli io butto fuori te e tutta la tua famiglia’. Lei viveva con la sua famiglia in una casa della parrocchia nella quale c’era questo prete. Mia nonna ha avuto 15 figli e quindi era in difficoltà economica. Mia madre si fidava tantissimo di questo parroco. Un giorno venne accompagnata nel suo studio. E lì perse una parte di vita».


LA DONNA ABUSATA – Parla anche la mamma di Erik, Cinzia, una donna introversa che oggi ha 47 anni. Era un pomeriggio di settembre del 1980. «Quando andavo a fare il doposcuola, abbiam fatto i compiti, ha trovato la scusa che doveva sistemare alcune cose in studio… E io, ingenuamente, l’ho seguito… Perché mi ha chiesto: ‘Mia fai un piacere, sistemi i libri?’. Poi ha detto: ‘Ti siedi sul divano?’. Poi dopo ha cominciato ad allungare le mani. Ho provato a difendermi, ma non ci sono riuscita. Oltretutto aveva chiuso anche la porta. Non sono riuscita neanche ad uscire. Mi tratteneva. Mi ha abbassato il vestitino e ha fatto i suoi comodi». Poi le minacce. «E’ stata dura, è stata bruttissima», ricorda la donna.
IL VESCOVO – La ragazza violentata tenne tutto nascosto per 5 mesi, fino al febbraio del 1981, quando racconta ai familiari l’accaduto. E’ a quel punto uno dei fratelli maggiori della bambina, Enzo, si reca dal parroco per metterlo di fronte alle sue responsabilità. «Se anche so qualcosa è un segreto, un segreto che porterò nella tomba», disse il prete in lacrime. Enzo avrebbe parlato del caso anche alll’allora vescovo di Ferrara, Monsignor Luigi Maverna. Che cercò di convincere la famiglia a non rivelare quanto accaduto: «Se fosse vero ti prego di tacere, sarebbe un danno enorme per tutta la diocesi e per la credibilità di noi sacerdoti».

prete pedofilo iene 3

LO SFRATTO – Poi alla famiglia si presenta una donna, come avvocato del Vaticano, invitando la famiglia a ritrattare le accuse, facendo capire che se lo avessero fatto non sarebbero stati sfrattati dalla casa in cui abitavano. Enzo racconta che nessuno firmò alcun documento, e subito dopo vennero, guardacaso, mandati via dalla casa. E’ il 1986 quando tutta la famiglia, composta da 18 persone, si ritrova senza un tetto. A pagare le conseguenze della violenza sono dunque Erik e la famiglia, mentre il sacerdote rimane nella sua parrocchia, dove per 25 anni continuerà a gestire la scuola materna ed insegnare catechismo ai bambini.

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IL TEST DEL DNA – Infine, la conferma. Eric si è rivolto ad un legale per chiedere il riconoscimento di figlio naturale attraverso test del dna. E l’esame confermato il sospetto: don Pietro è il suo padre biologico. Lo dimostra anche una sentenza del tribunale di Ferrara. La reazione del sacerdote? Eric ricorda le parole del prete: «Io non devo chiedere perdono a nessuno, ho chiesto perdono a Dio, sono stato assolto». «Lui è in pace con se stesso», dice il ragazzo. «Non si è nemmeno degnato di chiedermi se sto bene, niente», dice oggi amareggiata la mamma commentando la reazione del suo stupratore.

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IL PRETE SMENTISCE – Quando Erik visita don Pietro presentandosi come il figlio di Cinzia, nella casa di riposo in cui vive il prete finge di non riconoscere il ragazzo. «Ho già fatto tutto quello che dovevo fare, voglio il mio avvocato», dice. Il sacerdote si chiude a riccio. Erik accusa di non aver mai fatto nulla, di non aver mai chiesto scusa. Don Pietro: «Non c’è stato niente». Tutto mentre l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri sostiene che lo stupro «non è sufficiente» per far dimettere il prete pedofilo e che per un risarcimento non riguarda la Chiesa. Non resta che appellarsi al Papa.

venerdì 18 ottobre 2013

Alessandra ha vinto


Questa l'immagine che Alessandra ha scelto di stampare sulla maglietta che ha realizzato in occasione del processo, che dovrà decidere sulla condanna del pedofilo che ha abusato di lei.

Il processo si è concluso ieri 17/10/2013 e ha portato alla condanna a 6 anni di reclusione per il reo.

Sei forte Alessandra, siamo tutti con te.

sabato 12 ottobre 2013

Succursali Una Vita sottile - dalla parte dei bambini

Le succursali di "Una Vita Sottile - dalla parte dei bambini" sono il progetto di radicamento che l'associazione intende promuovere per essere sempre più presente sul territorio nazionale. Sono sempre più le persone da varie parti d'Italia che ci contattano per chiedere informazioni sulla tematica della pedofilia o per segnalare casi di abuso, violenza o maltrattamento dove sono coinvolti bambini e donne. I nostri sportelli sono tuttora attivi in Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna. Unisciti a noi contatta i nostri referenti, i bambini te ne saranno grati. Per saperne di più visita il sito www.unavitasottile.org


Omicidio Yara Gambirasio, nuove ipotesi sulla pista della pedofilia portano a Padova


Si continua a lavorare sulla pista della pedofilia per l’omicidio di Yara Gambirasio. Tra le ultime novità c’è infatti una pista che sta portando gli inquirenti in Francia, passando per Padova, sulle tracce di un uomo, un 50enne padovano, arrestato oltralpe a febbraio per pedofilia. A portare gli investigatori sulle sue tracce è stata la mamma di una 12enne bergamasca: secondo la donna, l’uomo, nel 2010 era in Italia e avrebbe tentato di adescare delle minorenni nella bergamasca. Sembra anche che questa persona conoscesse la piccola Yara e che avesse per lei una sorta di ossessione, fino a creare falsi profili Facebook pur di avvicinarla. L’uomo al momento è agli arresti in Francia ed è per questo che gli agenti italiani sono partiti per prelevare il suo Dna e confrontarlo con quello ritrovato sugli indumenti della ragazzina di Brembate.
Gli inquirenti continuano a vagliare ipotesi sulla pista della pedofilia. In effetti ci sono degli indizi che ricondurrebbero a questa linea, come il racconto di una donna relativo ad un’altra ragazzina che abita nella zona bergamasca. L’episodio sarebbe accaduto pochi giorni prima della scomparsa di Yara. La ragazzina in questione avrebbe denunciato gli abusi subiti da parte di un allenatore di ginnastica. Per vagliare l’ipotesi di un collegamento, gli investigatori hanno effettuato un confronto fra le tracce di dna ritrovate sul corpo della ginnasta con quello di 162 uomini accusati di pedofilia e condannati per questo reato, che vivono proprio nella zona in cui viveva l’atleta.
Un’altra recente pista è quella che conduce a Salice Terme. Proprio in questo paese gli inquirenti pensano che abbia soggiornato negli anni ’60 Giuseppe Guerinoni, il padre del presunto assassino. A quanto pare, l’uomo era solito trascorrere due settimane ogni anno proprio a Salice Terme. I fatti sarebbero avvenuti prima ancora di sposarsi. Gli inquirenti presumono che durante questi soggiorni l’uomo abbia potuto conoscere la donna che sarebbe stata la madre di un figlio illegittimo, che è stato designato nell’indagine con il nome di “Ignoto 1″. Le forze dell’ordine hanno consultato gli elenchi forniti dall’Inps e i registri degli hotel, per cercare di capire chi possa essere stata la donna. Quest’ultima sarebbe tornata poi con il bambino proprio nella stessa zona in cui ha colpito l’assassino.
Intanto nell’inchiesta è uscito di scena Mohamed Fikri. Negli ultimi tempi era stato accusato di favoreggiamento, ma è stata disposta l’archiviazione del ruolo dell’extracomunitario. A deciderlo è stato il giudice delle indagini preliminari, che ha valutato la posizione del piastrellista. L’avvocato della difesa, Roberta Barbieri, si è dichiarata soddisfatta per l’esito della situazione.
Precedentemente è stato fermato Domenico De Simone, un 60enne ex collaboratore di giustizia, l’autore della lettera in cui diceva di essere l’assassino di Yara. A quanto pare l’uomo avrebbe fatto tutto, perché è alla ricerca di notorietà.
Già nel 2000 si era messo al centro dell’attenzione, quando con il fratello si era incatenato davanti a Palazzo Frizzoni, per dimostrare di essere abbandonati dallo Stato. De Simone ha raccontato di un episodio accaduto al pronto soccorso di Ponte San Pietro: due donne avrebbero fatto riferimento ad una palestra e ad un braccialetto con le iniziali.
Le donne in questione non hanno mai pronunciato il nome di Yara, ma l’uomo ha nella sua mente ricollegato il tutto. Il racconto di De Simone è senza fondamento. L’uomo non è stato denunciato per procurato allarme.
Il presunto assassino di Yara era tornato a farsi vivo con il cappellano della piccola chiesa dell’ospedale di Rho – Milano – in cui sabato scorso è stato ritrovato un messaggio sul quaderno delle preghiere dei fedeli. Nel messaggio, l’uomo, che diceva di chiamarsi Mario, aveva lasciato intendere di essere a conoscenza dell’identità dell’omicida della giovane ragazza di Brembate. In una nuova missiva indirizzata a don Antonio Citterio, aveva dichiarato apertamente di essere proprio lui il killer di Yara.
In una lettera di tre pagine, posta sotto lo zerbino della porta di casa, don Antonio Citterio aveva trovato una busta contenente tre fogli scritti a penna e firmati da un certo Mario. Il presunto killer ha scritto al cappellano: “Mi chiamo Mario, sono stato io a scrivere il messaggio sul libro delle preghiere in chiesa“.
L’uomo aveva pure anticipato la lettera con una telefonata in portineria: “Buongiorno, mi chiamo Mario, sono malato di cancro. Sono io l’autore del messaggio in chiesa su Yara Gambirasio. Volevo solo sapere se il cappellano ha ricevuto la mia lettera“. Enrico Pelillo, legale della famiglia Gambirasio aveva affermato: “Siamo contenti della solerzia della magistratura per l’attenzione a ogni vicenda legata a questo caso, anche se non ci facciamo troppe illusioni. Di mitomani ne abbiamo già visti parecchi“.
L’indagine su un fazzoletto
Nella chiesa di Santa Maria della Pace, nell’ospedale di Rho, dove è stato trovato il messaggiodel presunto assassino di Yara Gambirasio, è stato rinvenuto poco dopo anche un fazzoletto. Era a terra, proprio vicino al registro dei visitatori preso in consegna dagli inquirenti. C’era scetticismo fin dall’inizio, ma dopo tre anni di indagini qualsiasi elemento non poteva essere trascurato.
Intanto si apprende che una mamma residente in provincia di Milano ha creduto che suo figlio adottivo potesse essere l’assassino di Yara, e ha chiesto che gli venisse effettuato il test del Dna. I carabinieri di Como hanno dunque effettuato i controlli e il figlio di questa anziana donna è entrato nelle indagini sull’omicidio della giovane ginnasta bergamasca uccisa nel 2010 condotte dal pm Letizia Ruggeri. In conclusione l’esame ha dato esito negativo, non c’è parentela tra il ragazzo e Giuseppe Guerinoni, ritenuto il possibile padre dell’assassino di Yara.
Il messaggio ritrovato in chiesa
La polizia aveva scoperto la scritta firmata dal presunto omicida della ragazzina, sul registro delle visite dove vengono lasciati i messaggi di parenti e fedeli, all’interno della piccola Cappella dell’ospedale Salvini di Rho, nell’hinterland del capoluogo lombardo. Poche righe scritte con inchiostro nero che hanno subito fatto scattare le indagini del commissariato Rho-Pero.
Sul foglio la scritta appare decisa, è a penna con inchiostro nero: “Informate la polizia di Bergamo che qui è passato l’omicida di Yara Gambirasio. Che Dio mi perdoni“, è il testo che si legge. La polizia ha sequestrato tutti i filmati delle telecamere di sorveglianza dell’ospedale.
La scientifica è stata invece a lavoro nel tentativo di isolare impronte digitali o campioni di Dna dalla carta del registro delle visite della Cappella. “Non possiamo sottovalutare alcuna ipotesi“, hanno spiegato gli inquirenti milanesi, che hanno subito avvisato polizia e carabinieri di Bergamo.”Faremo di tutto perché si arrivi alla verità” – ripetevano gli investigatori – “Lo dobbiamo alla famiglia di Yara“.
Gli investigatori, guidati dal dirigente Carmine Gallo, sono gli stessi tecnici che hanno eseguito l’autopsia sul corpo della 13enne, che hanno raccolto e repertato i 14 mila campioni di saliva prelevati agli abitanti della Val Brembana in cerca del figlio illegittimo di Giuseppe Guarinoni, l’autista di autobus morto a 61 anni nel 1999. Dai risultati di una recente indagine scientifica l’uomo sarebbe il padre del killer della ragazzina scomparsa il 26 novembre del 2010 a Brembate e ritrovata morta a Chignolo d’Isola.